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UK e Francia rimbalzano Huawei. E a Roma aumenta la pressione sul 5G

Dopo Hong Kong, anche il 5G. L’età dell’oro tra Regno Unito e Cina, inaugurata dall’ex premier David Cameron e dal suo fidato cancelliere dello Scacchiere George Osborne, sembra prossima alla fine. In risposta alla legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino su Hong Kong, il governo britannico ha deciso di facilitare il regime dei visti per gli abitanti dell’ex colonia.

“Ora verranno ripensati altri elementi delle relazioni bilaterali tra Regno Unito e Cina”, dichiara Stefano Mele, presidente della commissione Sicurezza cibernetica del Comitato atlantico italiano. “A partire dall’estromissione di Huawei dalle strutture 5G del Regno Unito, ormai certa. Ed è già in fase di studio una legislazione modellata sul Magnitsky Act (usata inizialmente dagli americani contro i russi) in modo che i funzionari pubblici cinesi coinvolti in violazione dei diritti umani vengano sanzionati con una moratoria sui visti e il congelamento dei conti bancari internazionali”.

Infatti, come raccontato nelle scorse ore da Formiche.net, Hong Kong rappresenta soltanto una delle ragioni dell’allontanamento tra Londra e Pechino. L’esecutivo londinese è, infatti, prossimo a un clamoroso dietrofront rispetto alle precedenti aperture fatte a Huawei: dopo gli avvertimenti degli Stati Uniti, il Regno Unito è pronto a bandire il colosso di Shenzhen dalla sua rete 5G per motivi di sicurezza.

I motivi di scontro tra Londra e Pechino non si fermano però qui, a Hong Kong e Huawei, temi che pur hanno già spinto l’ambasciatore cinese a Londra, Liu Xiaoming, a minacciare “conseguenze” contro il Regno Unito: l’autorità per le comunicazioni britanniche (Ofcom) ha messo nel mirino il canale televisione Cgtn di proprietà del governo cinese; il parlamento di Londra sta premendo sul ministro degli Esteri Dominic Raab affinché imponga sanzioni su Carrie Lam, governatrice di Hong Kong; il governo britannico sta lavorando per rivedere il trattato di estradizione con l’ex colonia.

Inoltre, poche ore dopo l’indiscrezione riportata dai giornali britannici, anche il capo dell’agenzia di sicurezza informatica francese Anssi, ha annunciato una stretta su Huawei: “Ciò che posso dire è che non ci sarà un bando totale”. Ma “per quanto riguarda gli operatori che non utilizzano ancora Huawei, li stiamo invitando a non sceglierla”. E, come spiegato da Formiche.net questa mattina, anche Parigi sta cercando di sostenere il mercato interno alternativo ai fornitori cinesi.

LE REAZIONI POLITICHE: IL PD…

“La decisione del premier Johnson, in controtendenza rispetto ad alcune iniziali aperture di alcuni mesi fa, pone un tema sul quale è opportuno riflettere anche in Italia”, si legge in una nota di Enrico Borghi, della presidenza del Partito democratico a Montecitorio e membro del Copasir. “La Grecia nei mesi scorsi ha formalmente deciso di puntare su Ericsson per implementare la propria rete di accesso, escludendo il ricorso alla tecnologia di origine e produzione cinese per la realizzazione del 5G nel territorio ellenico. Già nello scorso dicembre, nella relazione al Parlamento sui rischi cibernetici, il Copasir ha richiesto al governo di valutare con grande attenzione l’esclusione delle aziende cinesi nella realizzazione delle reti 5G in Italia”. Secondo Borghi “non si possono infatti che ritenere in gran parte fondate le preoccupazioni circa l’ingresso delle aziende cinesi nelle attività di installazione, configurazione e mantenimento delle infrastrutture delle reti 5G”. Nella nota, il deputato Pd ha anche riferimento all’impiego delle risorse del Recovery fund “per lo sviluppo di una tecnologia europea per le reti 5G in grado di assicurare sicurezza e qualità alle nostre infrastrutture e non dipendenza da soggetti estranei al nostro perimetro di alleanza”.

…E IL CENTRODESTRA

Per Adolfo Urso, senatore di Fratelli d’Italia e vicepresidente del Copasir, “la svolta di Boris Johnson, che segue peraltro la decisione inaspettata e per questo ancora più importante della Grecia, ci induce a fare la stessa riflessione in Italia”. Raggiunto telefonicamente da Formiche.net spiega: “Le infrastrutture italiane sono ben più significative e decisive per tutta l’Europa e l’alleanza atlantica rispetto a quelle della Grecia e del Regno Unito. Infatti, il nostro Paese è frontiera e crocevia fondamentale di tutto il sistema d’informazione europeo e atlantico, pensiamo soltanto ai cavi sottomarini. Se decisioni simili le hanno assunte Regno Unito e Grecia, tanto più è doveroso farlo per l’Italia”. Non a caso, continua Urso, “alla fine di oltre un anno di analisi, il Copasir ha prodotto un documento approvato all’unanimità. Tuttavia, a quel rapporto presentato al Parlamento e quindi al governo non è conseguita alcuna azione da parte degli organismi istituzionali preposti alla luce delle avvisaglie emerse. Fino a questo momento è apparsa mancare una piena consapevolezza. Noi ci aspettiamo che venga compiuto un atto di chiarezza doveroso. Su questo non possiamo avere tentennamenti o ulteriori ritardi perché sulle infrastrutture 5G dobbiamo scommettere per il rilancio del Paese”.

“Bene ha fatto il Regno Unito a fermare il 5G made in China del loro colosso Huawei alla luce del nuovo scenario geopolitico e dopo il chiaro rischio sulla sicurezza informatica e non solo. Il regime di Pechino nell’illegale e violenta repressione delle proteste di Hong Kong sta dimostrando di non rispettare gli accordi internazionali assunti in precedenza, e di non rispettare i diritti umani”, ha dichiarato in una nota Paolo Grimoldi, deputato della Lega, componente della commissione Esteri della Camera e presidente della delegazione italiana all’Osce. “Anche l’Italia dovrebbe assumere una posizione analoga”.

IL PARERE DELL’ESPERTO

“Il rapporto tra Huawei e il Regno Unito è una special relationship non paragonabile a quello con altre nazioni occidentali”, spiega a Formiche.net Alessandro Aresu, direttore scientifico della Scuola di Politiche e autore di Le potenze del capitalismo politico (La nave di Teseo, 2020). “Infatti, l’ascesa globale dell’azienda nasce nel 2005, attraverso un importante contratto con BT, e da quel momento il Regno Unito è stato la base per le operazioni internazionali di Huawei. Nel corso di questi anni, come ho ricordato anche nel mio libro Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina, abbiamo assistito a due fenomeni”, prosegue l’analista. “In primo luogo, l’azienda è stata ampiamente monitorata dall’intelligence britannica, che, come sanno anche i sassi, ha storiche capacità di analisi, crittografia e valutazione, peraltro rafforzate nell’ultimo decennio con la costituzione del National Cyber Security Centre (Ncsc); in secondo luogo, Huawei non ha lesinato il reclutamento di figure britanniche per ruoli manageriali e di rappresentanza. L’esempio principale è John Suffolk, civil servant britannico che è stato chief information officer del governo, e nel 2011, dopo aver lasciato il suo incarico l’anno precedente, è andato a lavorare con Huawei, di cui ora è il responsabile globale della cybersicurezza. Per fare un altro esempio, Mike Rake, ex presidente di BT, è entrato di recente nel consiglio di amministrazione di Huawei UK”.

Secondo Aresu, “il caso Huawei nel Regno Unito quindi è anche uno scontro tra due élite: quella di una certa idea di Global Britain, vicina anche professionalmente all’azienda o alla Cina (come lo stesso ex premier David Cameron), e quella della stretta aderenza all’alleanza di sicurezza con gli Stati Uniti. Quest’ultima élite si rafforza, come ha mostrato l’intervento sul Financial Times dell’ex capo dell’MI6 John Sawers”.

LA DIMENSIONE GEOSTRATEGICA

C’è, infine, da considerare la dimensione geostrategica. “A mio avviso l’élite della sicurezza avrebbe vinto comunque”, ci spiega Aresu: “I Five Eyes non possono fare a meno dell’occhio di Londra, a meno che non cambi radicalmente il mondo. Ciò che in parte cambia è la tempistica delle decisioni, anche se sulla vicenda britannica, come su altre, i governi devono di fatto trattare con le compagnie di telecomunicazioni che hanno forniture in corso, anche per ragioni tecniche. In ogni caso, la vicenda Huawei è molto lunga e complessa, e non bisogna adottare formule semplicistiche, dichiarandone la conclusione o la vittoria di uno dei ‘contendenti’. La recente discussione nel Regno Unito tocca comunque un nodo importante, di cui parleremo ancora in futuro: una delle vulnerabilità principali dell’azienda cinese riguarda proprio la sicurezza dei suoi sotto-fornitori cinesi, nel momento in cui la sua supply chain riceve smottamenti radicali dalle decisioni di capitalismo politico degli Stati Uniti”.


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