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Così rilanciamo la Difesa europea (al bivio). Parla Garavini (IV)

Il rilancio dell’Unione europea potrebbe passare dalla Difesa, a patto che si assicurino al settore i necessari finanziamenti, sia quelli provenienti da Bruxelles, sia quelli nazionali. Parola di Laura Garavini, presidente della commissione Difesa di palazzo Madama e vice presidente del gruppo Italia Viva. Formiche.net l’ha raggiunta alla vigilia del delicato Consiglio europeo che si apre domani a Bruxelles, tra Recovery Fund e prossimo bilancio pluriennale dell’Unione. Il rischio (già sperimentato nel corso dei negoziati) è che dal compromesso tra i “frugali” e i Paesi per un’Europa più ambiziosa esca vittima la Difesa europea, con risorse in calo rispetto alle attese sui vari strumenti ideati da Bruxelles. L’Italia lavora per evitarlo. Martedì scorso, dopo una lunga serie di audizioni tra esperti, rappresentanti istituzionali e dell’industria, la commissione Difesa del Senato ha approvato all’unanimità sul tema una risoluzione. Impegna il governo “ad assicurare risorse finanziarie stabili, prevedibili e adeguate a sostegno della partecipazione italiana” alla Difesa europea. Ci sono indicazioni anche sul rafforzamento della presenza di personale italiano nelle istituzioni dell’Ue e sulla rapida implementazione della riforma g2g (gli accordi governo-governo) per sostenere l’export del comparto.

Presidente, sul tema della Difesa comune lei è co-firmataria della recente lettera “Domani è un altro giorno” con altri esponenti dei parlamenti europei. Come nasce questa iniziativa?

Sia io che la collega Conway-Mouret, vice presidente del Senato francese, siamo due europeiste convinte, consapevoli del ruolo che l’Europa può giocare come motore di sicurezza e di stabilità a livello internazionale, proprio e soprattutto in una fase così complessa come quella attuale. Ecco perché abbiamo ritenuto di lanciare l’appello “Domani è un altro giorno”, al fine di sensibilizzare tutti gli Stati dell’Ue sull’importanza della creazione di una Difesa unica europea.

Qual è l’obiettivo?

Che il tema sia affrontato nel prossimo Consiglio del 17 luglio, strategico per le sorti della destinazione delle risorse da investire nel bilancio pluriennale 2021-2027. In più occasioni pubbliche ho ribadito come il comparto della Difesa rappresenti un pilastro del progetto di integrazione europea. E non è un caso che al nostro appello abbiano aderito diversi parlamentari nazionali europei. Dalla Germania, ad esempio, il portavoce per gli Affari esteri Nils Schmid e il suo omologo alla Difesa Fritz Felgentreu.

Nei precedenti negoziati sul bilancio pluriennale dell’Ue, il tema della Difesa è sembrato ai margini. C’è davvero secondo lei la possibilità che acquisisca importanza nel Consiglio europeo che si apre domani?

Rispetto al passato sono cambiate le condizioni. In primo luogo per la crescente instabilità geopolitica internazionale. E poi per l’emergenza sanitaria, che ha stravolto tanti aspetti delle nostre vite quotidiane e, allo stesso tempo, ha reso evidente l’urgenza di determinate questioni fino ad oggi considerate con minore attenzione. Le porte dell’Europa, dal Nord Africa al Vicino e Medio Oriente, soffrono di una fragilità politica e sociale che rischia di essere aggravata dall’emergenza Covid. Si inasprisce il confronto tra Stati Uniti e Cina, mentre Turchia e Russia confermano una posizione aggressiva, con quest’ultima protagonista di azioni di disinformazione e attacchi informatici, a danno, soprattutto, degli europei. In questo contesto, la capacità dell’Unione di poter contare su una propria Difesa unica, con risorse e strutture adeguate, diventa di sempre maggiore attualità. Non solo per rafforzare il ruolo dell’Ue a favore della stabilità internazionale, ma anche per la sicurezza interna della stessa Unione.

Anche a giudicare dai contatti recenti del ministro Guerini, i principali Paesi dell’Ue sembrano concordi sull’esigenza di una Difesa europea ambiziosa. A opporsi ci sono i frugali. Come convincerli?

La costituzione di una Difesa unica è strettamente connessa al processo di integrazione europea. Che superi i limiti nazionalistici anche nelle materie dove gli Stati sono particolarmente avversi a cedere la propria sovranità, come appunto nei settori della difesa e della sicurezza. Nella mediazione con i Paesi frugali possiamo contare sul sostegno di Francia e Germania. E la presidenza tedesca del semestre europeo può costituire una leva importante, per indirizzare la negoziazione sulla posizione italiana. È importante, però, che l’Italia non rinunci ad avere un ruolo di primo piano nel confronto sia con i Paesi frugali che con gli altri Stati europei. Altrimenti rischieremmo di ritagliarci solamente un ruolo secondario.

Non c’è secondo Lei il rischio, soprattutto in Italia, che i finanziamenti Ue per la difesa vengano visti come alternativa agli investimenti nazionali? Sarebbe un errore?

Rispetto ai programmi legati alla difesa europea c’è la consapevolezza del fatto che serve sempre un co-finanziamento nazionale. Dunque, i diversi progetti che saranno messi in campo richiedono anche risorse nazionali, accanto a quelle comunitarie. Questo è il motivo per cui sarebbe opportuno che ogni anno, in sede di legge di bilancio, si prevedessero risorse ad hoc, volte a rendere possibile la partecipazione italiana a tutta una serie di investimenti europei, senza che questo debba comportare un ridimensionamento di quelli nazionali. Altrettanto importante è che a livello europeo le risorse per la realizzazione di una Difesa unica europea siano protagoniste nel bilancio pluriennale che si sta prevedendo per gli anni 2021-2027. Un obiettivo che tutti, come Stati dell’Unione europea, siamo chiamati a porci.

Sul tema della Difesa europea, la commissione del Senato da lei presieduta ha approvato da poco una risoluzione specifica che impegna il governo a procedere con determinazione. È arrivata dopo vari audizioni. Come riassumerebbe i suggerimenti emersi?

Le audizioni svolte sono state molte e diversificate, coinvolgendo rappresentanti delle industrie del comparto difesa e sicurezza, delle istituzioni nazionale e europee, in particolare della nostra Difesa e del Comitato militare dell’Unione europea, nonché esperti di centri studi qualificati. I contributi sono stati quindi ad ampio spettro ed estremamente approfonditi. Dovendo fare una sintesi, direi che gli esponenti delle istituzioni hanno sottolineato, in primo luogo, la necessità di dotare l’Unione europea di capacità operative credibili, in grado di contrastare rischi e minacce in un quadro geo-strategico fortemente instabile. Inoltre, hanno sottolineato come una maggiore integrazione della Difesa europea, tramite strumenti come il Fondo europeo per la Difesa (Edf), sia essenziale per rendere l’Unione un attore credibile, accrescerne l’autonomia strategica e rafforzare le sue capacità di proteggere e difendere i cittadini europei.

E dall’industria?

Dal mondo industriale sono invece arrivate indicazioni circa la crescente importanza strutturale del settore dell’alta tecnologia nell’economia mondiale. E di come la presumibile maggiore conflittualità delle relazioni internazionali nel prossimo futuro renderà a ancora più irrinunciabile l’esigenza di disporre di competenze tecnologiche, in particolare, per quanto riguarda il settore dell’aerospazio. Da parte di tutti i relatori, in sintesi, c’è stata una corale e pressoché unanime convergenza sulla necessità della costruzione di una base industriale e tecnologica comune – e sulla realizzazione di effettive capacità militari, quali fattori indispensabili per la prosecuzione dello stesso progetto europeo. Così che la difesa rappresenti un fattore di integrazione e un pilastro dell’Unione.


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