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Hacker cinesi contro il Vaticano. Scoop del New York Times

“Hacker cinesi si sono infiltrati nelle reti informatiche del Vaticano negli ultimi tre mesi”. Lo rivela oggi il New York Times, che riporta le indagini svolte da Recorded Future, una società di sicurezza informatica con sede a Somerville, in Massachusetts. Il quotidiano della Grande Mela definisce l’attacco come “un evidente sforzo di spionaggio prima dell’inizio di delicati negoziati con Pechino” previsto a settembre. Al centro dei colloqui le norme sulla nomina dei vescovi e sullo status dei luoghi di culto, attualmente normate con un accordo provvisorio firmato due anni fa.

Spesso hacker cinesi e autorità statali hanno usato attacchi informatici per cercare di raccogliere informazioni su gruppi di tibetani buddisti, uiguri musulmani e Falun Gong fuori dalla Cina. “Ma questa sembra essere la prima volta che gli hacker, che secondo gli esperti di sicurezza informatica di Recorded Future lavorano per lo Stato cinese, sono stati beccati mentre hackeravano il Vaticano e la missione di studio della Santa Sede in Cina”, il gruppo del Vaticano con sede a Hong Kong che ha avuto un ruolo nel negoziare lo status della Chiesa cattolica.

“La serie di intrusioni è iniziata ai primi di maggio”, scrive anche il New York Times. Un cyberattacco si nascondeva dietro a una mail all’apparenza legittima del Vaticano a monsignor Javier Corona Herrera, cappellano che dirige la missione a Hong Kong. “La lettera riportava un messaggio del cardinale Pietro Parolin, il segretario di Stato del Vaticano, il numero due del Papa e storico amico della Cina che ha difeso l’accordo. Nel suo messaggio, il cardinale Parolin ha espresso la tristezza del Papa per la morte di un vescovo”. Non è chiaro se la lettera sia stata falsificata o se si tratti di un documento reale che gli aggressori hanno ottenuto e poi collegato a un malware per accedere ai computer degli uffici della chiesa di Hong Kong e ai server di posta del Vaticano.

Le relazioni tra Cina e Vaticano destano grandi attenzioni. Basti pensare che in occasione dell’Angelus del 5 luglio scorso, papa Francesco avrebbe dovuto esprimere preoccupazione per la crisi di Hong Kong l’entrata in vigore della contestata legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino. Il pontefice avrebbe dovuto lanciare un invito agli abitanti dell’ex colonia britannica per affrontare con «coraggio, umiltà e non violenza» la nuova condizione imposta da Pechino, affermando di aver seguito con particolare attenzione, e non senza preoccupazione, lo sviluppo della complessa situazione a Hong Kong. Ma quelle parole non furono pronunciate, nonostante fossero contenute nella copia del discorso diffusa sotto embargo ai giornalisti (sulla copia era presente la nota “Vale solo quanto pronunciato, salvo indicazioni diverse”).

Le attenzioni ora si rivolgono su Taiwan. C’è, infatti, chi teme che concluso l’accordo, Pechino possa chiedere di interrompere le relazioni con l’isola al Vaticano, uno dei pochi Stati che la riconosce ufficialmente.

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