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Immunità per la polizia ed extraterritorialità. Così Pechino reprime Hong Kong

Un uomo con una bandiera indipendentista di Hong Kong è il primo arrestato dopo l’entrata in vigore, ieri, della legge sulla sicurezza nazionale imposta dalla Cina sull’ex colonia britannica a 23 anni dalla sua “restituzione”.

La misura consegna alle autorità del regime di Pechino nuovi e in un certo modo straordinari poteri. La Cina dice che servono per riportare stabilità a Hong Kong. Gli attivisti pro democrazia dell’ex colonia sono già in piazza per manifestare contro la fine dell’autonomia e delle libertà. Ma non è tutto. Il ministro degli Esteri britannico Dominic Raab ieri ha spiegato che intende andare avanti con il suo piano di revisione dei visti con l’obiettivo di dare a milioni di hongkonghesi un modo per ottenere la cittadinanza nel Regno Unito. E un modo, anche, per proteggerli della nuova stretta cinese. Londra potrebbe accelerare oggi, visto che, come rivelato da i, i legali del Foreign Office hanno lavorato tutta la notte per verificare se (come è altamente probabilmente) la stretta cinese non rispetti la dichiarazione congiunta sino-britannica del 1984.

CONTRO LA DIASPORA

Però, le tutele garantite dal Regno Unito non basteranno. Infatti, come spiegato da Bethany Allen-Ebrahimian, reporter di Axios, l’articolo 38 della legge (“espansiva in modi senza precedenti, perfino per gli standard dell’opaco sistema legale cinese”, scrive Quartz) prevede che la misura “si applica alle persone che non hanno uno status di residente permanente a Hong Kong e commettono reati ai sensi di questa legge al di fuori di Hong Kong”. “Pechino si è appena concessa una vasta extraterritorialità per… tutti sul pianeta?”, si chiede la giornalista che, dopo aver parlato con diversi legali, ha confermato la correttezza della sua iniziale interpretazione.

La nuova legge, dunque, si applica non soltanto a chi risiede a Hong Kong ma anche a cittadini stranieri, diaspora hongkonghese e hongkonghesi che studiano o lavorano all’estero. Un modo per reprimere il dissenso interno ma anche per provare a limitare le critiche al regime da tutto il mondo, in particolare da chi quel regime l’ha vissuto sulla propria pelle.

La legge sulla sicurezza nazionale “afferma la giurisdizione extraterritoriale su ogni persona sul pianeta”, secondo Donald Clarke, professore di diritto alla George Washington University, autore di una lunga analisi della misura di Pechino. La legge ha portata ancora più ampia della legge penale della Cina continentale, che considera uno straniero responsabile per un crimine commesso al di fuori della Cina se l’effetto di tale crimine si verifica in Cina. La legge sulla sicurezza dei cittadini di Hong Kong non ha questa limitazione, dice il professor Clarke. “Se hai mai detto qualcosa che possa offendere le autorità (cinesi, ndr) o di Hong Kong, stai lontano da Hong Kong”.

L’IMMUNITÀ PER LA POLIZIA

Nella sua analisi, il professor Clarke si sofferma sull’articolo 60 della legge. “Gli atti compiuti nell’esercizio del dovere dall’Ufficio per la salvaguardia della sicurezza nazionale del governo popolare centrale nella Regione amministrativa speciale di Hong Kong e il suo personale in conformità con la presente legge non sono soggetti alla giurisdizione della Regione amministrativa speciale di Hong Kong”. E ancora: “Nel corso dell’esercizio, un titolare di documento di identificazione o di documento di certificazione rilasciato dall’Ufficio e gli ‘articoli’ inclusi i veicoli utilizzati dal titolare non sono soggetti a ispezione, ricerca o detenzione da parte delle forze dell’ordine della Regione”. In altre parole, commenta il professore, “sono intoccabili per la legge di Hong Kong. Questa è roba al livello del Gestapo”. Clarke fa un esempio: un ufficiale uccide un manifestante “nell’esercizio del dovere”. Per la legge di Hong Kong non è responsabile. Mentre le uniche leggi della Repubblica popolare cinese applicabili a Hong Kong sono quelle presenti nell’allegato III della Basic Law; e il codice penale non è tra quelle.

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