“Una delle cose più apprezzate di Hong Kong, anche per chi ha avuto l’occasione di soggiornarci arrivando dalla Cina continentale, è sempre stata la vivacità della stampa e dell’editoria, con la possibilità di trovare libri o quotidiani con informazioni inaccessibili in Cina”, racconta Simone Pieranni sul manifesto.
Ma la nuova legge sulla sicurezza nazionale imposta dalla Cina su Hong Kong sta iniziando a dare i suoi frutti liberticidi. I libri sono pericolosi perciò li bruciano è il titolo di un libro di Pierluigi Battista (Rizzoli, 2014). Adolf Hitler, scrive Battista, “odiava i libri pericolosi mentre li collezionava con passione bulimica. Ordinava i roghi dei libri per metterli in condizione di non nuocere, giacché ne conosceva la pericolosità. Se ci piace immaginare che il falò dei libri sia il frutto della rozzezza e dell’incultura, purtroppo non è così. È molto peggio: i libri vengono bruciata dai fanatici, non dagli ignoranti. Solo che dall’ignoranza si può guarire, dal fanatismo no”.
Nel Porto profumato per ora non si vedono incendi di volumi ma nelle biblioteche pubbliche del Porto profumato non si trovano più i libri degli attivisti pro democrazia. Sono spariti in attesa di valutazione da parte del governo cinese chiamato a decidere quali di questi violino il nuovo provvedimento.
Le biblioteche pubbliche di Hong Kong “esamineranno se alcuni libri violano le disposizioni della legge sulla sicurezza nazionale”, ha dichiarato in una nota il dipartimento Servizi ricreativi e culturali, che gestisce le biblioteche. “In attesa”, i volumi “non saranno disponibili per il prestito e nei cataloghi nelle biblioteche”. Tra i libri spariti, quelli del giovane attivista Joshua Wong e della politica pro democrazia Tanya Chan. “Il terrore si diffonde – ha scritto Wong su Facebook – e la legge sulla sicurezza nazionale è solo uno strumento per incriminare la libertà di espressione”. La nuova legge è ufficialmente nata per combattere le azioni sovversive, i tentativi di secessione e di terrorismo e la collusione con forze straniere, ma è evidente, come nota Vittorio Sabadin sulla Stampa, che mira soprattutto a tacitare gli oppositori impedendo a chiunque di manifestare apertamente il proprio dissenso.
1/ More than just punitive measures, the national security law also imposes a mainland-style censorship regime upon this international financial city. Although my books are published years before Hong Kong’s anti-extradition movement, they are now prone to book censorship. https://t.co/2fbyvtcH95
— Joshua Wong 黃之鋒 ? (@joshuawongcf) July 4, 2020
Come raccontavamo su Formiche.net, con l’entrata in vigore della legge per la sicurezza nazionale, il governo cinese ha istituito a Hong Kong anche l’agenzia per la salvaguardia della sicurezza nazionale, che vigilerà proprio sull’applicazione della nuova normativa. A capo dell’agenzia Pechino ha posto Zheng Yanxiong, uomo politico con una lunga carriera alle spalle che è già stato al centro di polemiche durante la gestione delle proteste di Wukan.
All’epoca gli abitanti, racconta il manifesto, “cacciarono i funzionari e la polizia e instaurarono una sorta di comune all’interno del villaggio con tanto di media center per i giornalisti stranieri. Il leader delle proteste, infine, venne eletto alle votazioni locali, salvo essere arrestato per corruzione cinque anni dopo. Se allora Wang Yang – astro nascente, nel 2011, del partito nel Guangdong – fu il funzionario che cercò la mediazione, Zheng si distinse per le critiche agli abitanti accusati di ‘complicità’ con le potenze straniere contro la Cina”. Una posizione, nota Pieranni, che nell’attuale fase di dominio di Xi Jinping non poteva che essere premiata: “La sua nomina ha anche un altro risvolto, politico: Zheng è un funzionario che ha sempre avuto mansioni nella propaganda. La scelta di Xi, che ha estromesso servizi e apparato di sicurezza dal ruolo apicale, dimostra la volontà di tenere sotto un rigido controllo politico e ideologico l’attività della nuova agenzia di sicurezza a Hong Kong”.
Le nuove restrizioni rischiano di colpire duramente la libertà di espressione: gli attivisti sono spariti dal web per paura di vendette, i freelance che vivono nel Porto profumato “come postazione privilegiata per scrivere di Cina”, nota Pieranni, “stanno pensando di abbandonare la città, perché la legge finirà con il limitare – considerata la sua vaghezza – anche la libertà di critica nei confronti di Pechino”. A rischio perfino l’insegnamento nelle università della ex colonia, che sono tra le più libere dell’Asia, come evidenzia Sabadin: “Gli argomenti che sono vietati nelle università cinesi sono ancora discussi liberamente a Hong Kong, un’anomalia alla quale Pechino ha già annunciato di voler porre fine, introducendo forme di insegnamento più ‘patriottiche’”.