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Se i palestinesi preferiscono Israele all’Anp. Il reportage di Channel 13

L’Autorità nazionale palestinese minaccia da sempre scenari di violenza e rabbia nelle strade nel caso in cui Israele dovesse procedere con il suo atto, definito “illegale”, di “occupazione”. Molte le voci a livello internazionali che hanno criticato il piano del premier israeliano Benjamin Netanyahu. In Italia è nato un intergruppo per la Pace in Medio Oriente, presieduto dall’onorevole Laura Boldrini, secondo cui l’annessione spegnerebbe “la speranza di pace”.

Posizioni simili erano state espresse anche all’indomani della decisione del presidente statunitense Donald Trump di trasferire l’ambasciata statunitense in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme. Hamas aveva incitato all’intifada, l’Autorità nazionale palestinese evocato una nuova ondata di violenza. Niente di tutto questo si è realizzato.

Nelle scorse settimane Channel 13, rete televisiva israeliana, ha mandato in onda un reportage firmato da Zvi Yehezkeli, tra i più apprezzati giornalisti e documentaristi sulla questione israelopalestinese, che Formiche.net pubblica in esclusiva per l’Italia.

Per scoprire se il rischio di un’escalation di violenze in risposta all’annessione corrisponda al vero Yehezkeli è andato in giro per alcuni dei villaggi palestinesi al centro del piano di annessione dello Stato ebraico in Cisgiordania munito di una telecamera nascosta negli occhiali. Ha intervistato diverse persone, molte delle quali già lavorano in Israele o negli insediamenti, che hanno raccontato come i loro stipendi siano più alti e che sarebbe pronti anche a pagare tasse più alte pur di godere di certi diritti garantiti dallo Stato ebraico.

“Più di 100.000 palestinesi vivono nell’Area C, sotto il governo di Israele”, spiega Yehezkeli. “In caso di annessione, probabilmente otterranno le carte d’identità blu. Che cosa farebbero in tal caso?”. Secondo il giornalista la distanza tra quello che dice la leadership palestinese e quello che desidera la popolazione è ormai “grande come mai prima d’ora”.

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Molti hanno paura di esporsi ma chi lo fa non ha dubbi: tutti, tra Anp e Carta blu, sceglierebbero la seconda. “Israele è più clemente di loro”, dice un’intervistato riferendosi all’Anp. “Gli israeliani ci trattano come fossero nostri amici. Da noi, tutti voglio tutto. Ciascuno pensa a sé stesso. Per questo non avremo mai uno Stato”. Alcuni hanno scelto perfino di metterci la faccia: ma le loro accuse non sono piaciute all’Anp così, dopo la messa in onda del reportage, le forze di sicurezza palestinesi li hanno individuati e portati in prigioni a Gerico e Betlemme.

“In Israele c’è una legge, c’è ordine e autorità, e si vive bene”, racconta ancora un poliziotto dell’Anp. “La bella vita è con gli israeliani”, dice invece un uomo d’affari accusando l’Anp di non aver fatto nulla per il popolo palestinese e dimostrando a Yehezkeli che l’opinione è comune e trasversale. Il poliziotto e l’uomo d’affari sono legati da un tema: la corruzione della politica palestinese. “Arriva denaro da Israele e da Paesi dell’Unione europea, lo rubano e a noi ne danno soltanto un po’”. Basti pensare a quanto rivelato da Yasser Jadallah, ex direttore del dipartimento politico dell’Anp che ora sta cercando asilo politico in Belgio, che ha accusato il presidente Mahmoud Abbas e alti altri ufficiali dell’esecutivo palestinese di aver rubato gli aiuti (anche quelli provenienti dall’Unione europea): una volta arrivati, i soldi finiscono direttamente su conti personali o vengono utilizzati per corruzione.

Secondo Yossi Beilini, ex ministro della Giustizia israeliano, ex esponente del Partito laburista e figura centrale nei negoziati degli anni Novanta, il reportage non avrebbe stupire nessuno. Sulle pagine di Israel Hayom, ha scritto infatti che “l’Anp è inefficiente e la sua corruzione rende difficili i servizi di base. La naturalizzazione in Israele, un Paese basato sulla modernità e sul progresso, non è una punizione dal loro punto di vista, è una ricompensa”.

Come raccontava Repubblica alcuni giorni fa, “la questione dello status dei palestinesi che vivono nelle Aree C, ovvero se garantire loro residenza o cittadinanza, è un dibattito che va avanti ormai da anni. Fu sollevato anche da un articolo dello scrittore Abraham Yehoshua nel 2016 sulle pagine del quotidiano Haaretz, in cui proponeva di dare la residenza ai 100.000 palestinesi dei territori C ‘per equiparare la loro condizione a quella degli abitanti degli insediamenti e per ridurre il grado di malignità nell’occupazione israeliana’. Questo, spiegava Yehoshua, non significa annessione, ma solo un modo di garantire una migliore qualità della vita ai palestinesi fintantoché i negoziati continuavano a essere in stallo. Nell’impossibilità di fare sedere nuovamente israeliani e palestinesi intorno al tavolo delle trattative, questo potrebbe essere uno degli scenari più plausibili nel medio-lungo termine”.

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