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Se la disabilità viene ancora utilizzata come clava nella lotta politica

È evidente: un consumato presenzialista e oculato manager di sé stesso e della propria immagine come Vittorio Sgarbi mira del tutto legittimamente ad apparire. E certamente calza a pennello per lui il celebre aforisma di Oscar Wilde secondo il quale “c’è una sola cosa al mondo peggiore del far parlare di sé, ed è il non far parlare di sé”. Anche stavolta occorre, dunque, parlare di Vittorio Sgarbi: non per le sue recenti performance nell’aula di Montecitorio ma per quanto affermato nel corso della trasmissione “Stasera Italia speciale”, andata in onda venerdì 10 luglio su Retequattro. Nella discussione in studio si dibatte, fra le altre cose, del ruolo del Movimento 5 stelle e di chi siano in Italia dei veri leader politici e Sgarbi conclude un suo intervento chiedendo che i grillini “se ne vadano, liberino lo Stato dalla loro presenza ingiustificata. Non hanno un’ideologia, un principio, un’idea, una coerenza”, affermando che “perlomeno Salvini sta in posizioni regolari, di una politica che è fatta di scelte e orientamenti, e non di gente disorientata e disabile mentalmente come sono questi”. Non conta, meglio chiarirlo immediatamente, la diatriba politica: chiunque di noi è fortunatamente libero di sostenere qualunque leader, qualsiasi idea, il governo o la coalizione che più ritiene valida. Quel che è grave – anzi, gravissimo – che ancora una volta si utilizzi la condizione di disabilità come arma di lotta politica e di denigrazione dell’avversario, peraltro senza reazione alcuna da parte della conduttrice della trasmissione o degli altri presenti in studio e in collegamento. Si brandisce, in altre parole, la disabilità come strumento di svilimento dell’altro che è dichiarato, conseguentemente, incapace, inutile, non in grado di ricoprire il ruolo che, invece, riveste o aspira a rivestire. È il marchio dell’infermità, ancor più infamante se di natura intellettiva o mentale, perché titolo valido di espulsione dal consesso civile. Sono gli eterni fanciulli, la cui devianza minaccia di perturbare l’ordine sociale gestito dagli adulti che, al massimo, possono esercitare un paternalistico controllo. Sgarbi non è certamente solo in questo desolante deserto culturale e civile, preceduto, solo per citare alcuni esempi, dall’allora vice presidente del Senato della Repubblica Maurizio Gasparri che nel 2016, a margine della manifestazione del Family Day, dichiarava alla trasmissione “Le Iene” che non si trattasse certo dell’Handicappato Day. E dal direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, che, in una trasmissione televisiva, denunciava che si volessero trattare gli elettori del Movimento 5 Stelle come “mongoloidi”. Quello dello stigma avverso le persone con disabilità è una ingombrante presenza che, ancor oggi, le società contemporanee fanno fatica a contrastare, avendo tuttora incorporate le tossine del passato e dei precedenti regimi dell’eliminazione, dell’abbandono, della segregazione e della discriminazione, così come individuati dalla ricerca scientifica di settore. Inutile qui richiamare, a beneficio dei tonitruanti opinionisti della televisione e dei social media, che, sulla base della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006, la disabilità è una mera condizione umana determinata e definita dalle barriere, fisiche e culturali, che sono presenti nella società di appartenenza. O che, nella riflessione più avanzata del modello sociale della disabilità, quel che va posto al centro è la persona e i suoi diritti, che vanno protetti e promossi per garantirne la piena inclusione sociale, economica, lavorativa e politica, al pari degli altri cittadini: semplicemente non capirebbero. Ciò che conta è queste odiose derive vadano ogni volta e puntualmente evidenziate, richiamate, sottolineate e che non passi il ripugnante principio della spersonalizzazione delle persone con disabilità, cui deve essere invece garantita, come recita la nostra Costituzione, pari dignità sociale senza distinzione – fra l’altro – di condizioni personali e sociali. Se questo è il quadro, paradossalmente occorre dunque ringraziare l’on. Sgarbi che, con le sue parole, ricorda a tutti quanto sia ancora lunga la battaglia culturale per una società inclusiva. Ed è bene non dimenticarlo.

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