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La Libia, l’Egitto e il fenomeno migratorio (senza freni). Parla il generale Tricarico

“Evidentemente, nonostante l’Italia ce la stia mettendo tutta tra addestramento e mezzi, la Libia non ha raggiunto le necessarie capacità per effettuare operazioni di ricerca e soccorso in mare come previste dalle convenzioni internazionali”. Parola del generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa e già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, che Formiche.net ha raggiunto per un punto sul dossier libico, oggi apparso ancora più intricato con la sparatoria che ha portato all’uccisione, da parte della Guardia costiera di Tripoli, di tre migranti. Intanto, il ministro Lorenzo Guerini è intervenuto oggi di fronte alla commissione d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni. Ribadita la separazione tra la vicenda giudiziaria e la potenziale vendita delle due Fremm all’Egitto, per cui la Difesa ha posto come condizione la reintegrazione di due unità a favore della Marina militare. “Ove si concretizzasse la vendita all’Egitto, la Difesa beneficerà di un corrispondente credito a valere su Fincantieri, in relazione ai fondi a bilancio già erogati all’Industria”, ha detto Guerini. In più, “non credo che lo sviluppo di relazioni con Egitto sia un freno alla ricerca della verità sulla morte di Giulio Regeni”.

Generale, come giudica le parole del ministro Guerini?

Tenere separati i due percorsi (la politica estera italiana e un dossier di interlocuzione tra le autorità giudiziarie dei due Paesi) è un concetto che un giorno all’altro dovrà prevalere rispetto a una frammistione che è invece assolutamente improponibile, soprattutto se in ballo ci sono gli interessi nazionali. L’Egitto ha un ruolo primario per l’Italia per mille motivi, dall’energia alla stabilizzazione della Libia, dal Mediterraneo ai rapporti commerciali. È importante che un giorno o l’altro questo assunto diventi un riferimento preciso per il decisore politico.

Come ha evidenziato anche lei, il ministro ha notato che lo sviluppo di relazioni con l’Egitto è necessario per immaginare la stabilizzazione dello scenario libico.

È assolutamente corretto. Non c’è dubbio che l’Egitto abbia un ruolo fondamentale, se non centrale, nella stabilizzazione della Libia. A parte altri attori, pure importanti, sembra infatti che la confrontazione si stia concentrando tra i Fratelli Musulmani e chi le persegue, detto in parole rozze e povere. Occorre disinnescare questa mina e alimentare una dialettica che non sia riconducibile a un confronto di questo tipo. Altrimenti, se si riconducesse tutto a questo, potremmo assistere a un vero salto di qualità in negativo della crisi. Allora sarebbe davvero difficile disinnescare un processo di escalation.

A proposito di Libia, lei è stato sin dall’inizio molto critico con la missione europea Irini. Ora che è attiva da oltre due mesi, ha cambiato idea?

No. Rimango dello stesso parere.

Perché?

Perché Irini non sta dando alcun contributo a quello che è uno dei suoi scopi secondari, ereditato dalla missione Sophia: la lotta al traffico di esseri umani e la consegna alla giustizia dei trafficanti. Nelle ultime settimane stiamo assistendo a sbarchi che, verosimilmente, nascono da navi-madre, le quali accompagnano gli irregolare fino a poche miglia dalle coste di Lampedusa e lì li rilasciano. Se davvero fosse così, qualcuno dovrebbe spiegare come mai Irini, affiancata da Mare Sicuro e dall’operazione Nato Sea Guardian, non riesca a intercettare alcuna imbarcazioni. Tra l’altro, quando in Parlamento si doveva autorizzare la partecipazione italiana a Irini, si evidenziava la disponibilità per la missione di importanti sforzi aerei per la ricognizione, droni e satelliti. Di fronte a tali dichiarazioni, non si capisce come le navi-madre possano sfuggire al controllo.

È anche vero che l’Italia sta spingendo in sede europea affinché la missione abbia più assetti proprio per poter essere più efficace.

Sì, ma se questi sono gli assetti, mi sembrano anche troppi. Continuiamo a destinare risorse sin dalla madre di tutte le missioni di questo tipo, Mare Nostrum, con risultati molto deludenti. Quando qualcuno apre i rubinetti migratori, evidentemente non si riesce in alcun modo a contenere il flusso di unità navali, senza per giunta mettere le mani su nessuno di questi banditi.

Come notava prima, proprio per avere ampio consenso politico a livello europeo, l’obiettivo principale della missione è però il supporto all’embargo di armi.

Non c’è dubbio, ma è anche vero che i mezzi di scoperta sono numerosi. Se il traffico ha raggiunto il livello a cui stiamo assistendo, non si capisce come mai nessuna unità navale (di ben tre missioni) riesca a intercettarlo. Sarebbe ora che i problemi che appartengono alla stessa famiglia di eventi (e che alternano fasi acute a momenti di stallo) fossero affrontanti seriamente con la debita strutturazione dal punto di vista tecnico. I provvedimenti da adottare ci sono. Forse non risolverebbero la situazione, ma sicuramente la mitigherebbero.

Ad esempio?

Prima di tutto, bisognerebbe accelerare la costituzione di una Guardia costiera europea. C’è l’assenso di tutti, ma la velocità di attuazione è davvero più bassa di quella a cui siamo abituati per l’edificazione di strumenti europei. La Guarda costiera italiana, professionale e ben aware, potrebbe permette al nostro Paese di rivendicare, a ragion veduta, un ruolo-guida in questo processo. Serve però la forza politica per volerlo fare.

E poi?

Poi occorrerebbe rivedere i concetti che regolano la suddivisione degli spazi marittimi in aree di ricerca e soccorso (Sar). Non è possibile che la Libia dichiara la propria competenza su un’area Sar senza avere capacità per farlo. Stesso discorso vale per Malta, che ha una vasta area Sar, senza mezzi e capacità per esercitare le attività necessarie. C’è poi un terzo elemento, forse il più concreto ed efficace.

Quale?

La creazione di un’unica autorità europea che regoli le attività Sar in mare. Come per gli spazi arei c’è Eurocontrol, così per le attività marittime di ricerca e sviluppo si dovrebbe istituire un organismo (che potenzialmente già esiste) che decida tutto in base a regole condivise (anche diverse rispetto a quelle ora in vigore), dal porto sicuro alla responsabilità su un nave battente una bandiera particolare, fino alla scelta di chi deve soccorrere e con quali mezzi. Se ci fosse la volontà di progettarlo, sarebbe un provvedimento davvero efficace.

Intanto è notizia di oggi la sparatoria sulle coste libiche che avrebbe portato all’uccisione, da parte della Guardia costiera di Tripoli, di tre migranti.

È esattamente quello che dicevo. Avere responsabilità su un’area marittima così vasta, deve prevedere come precondizione il fatto che autorità di quel Paese, gracili, fragili o impreparate che siano, diano comunque dimostrazione di avere le conoscenze e le capacità per poter effettuare attività di ricerca e soccorso così come sono previste dalle convenzione internazionali. Evidentemente, nonostante l’Italia ce la stia mettendo tutta con addestramento e mezzi, la Libia non ha raggiunto queste capacità.

Infine, a Lampedusa arrivano i militari di Strade sicure. Che ne pensa?

Dimostra l’incapacità di strutturare le attività di controllo del territorio. Sono decenni che i problemi divenuti strutturali come il fenomeno migratorio non trovano risposte altrettanto strutturali, ma solo emergenziali. Sono stato da poco in vacanza qualche giorno a Lampedusa. È un’isola già fortemente militarizzata. Non credo che servano anche i professionisti dell’Esercito. È questa una tendenza che deve essere invertita, privilegiando invece impieghi all’estero come le missioni in Niger o in Sahel. Lì è davvero importante agire per la nostra sicurezza.

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