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Si scalda (ancora) il Mar cinese. Perché Pechino minaccia Lockheed Martin di sanzioni

“Un’interferenza negli affari interni della Cina”. Così il ministero degli Esteri di Pechino ha argomentato la minaccia di sanzioni a Lockheed Martin per la possibile vendita di servizi di aggiornamento al sistema Patriot che, da anni, assicura a Taiwan la difesa dalla minacce del cielo. Una minaccia che si inserisce nell’escalation degli ultimi giorni nei rapporti tra Stati Uniti e Cina, culminata ieri con la netta chiusura del dipartimento di Stato guidato da Mike Pompeo a ogni rivendicazione di Pechino sul Mar cinese meridionale. Sono tutte “completamente illegali”.

TENSIONE CRESCENTE

L’annuncio di questa mattina da parte del portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian a Lockheed Martin non sembra dunque casuale. Tra 5G, scontri commerciali e Hong Kong, la tensione tra Washington e Pechino è cresciuta considerevolmente nelle ultime settimane, trovando da inizio luglio un’estensione negli affari militari piuttosto importante. Il 2 luglio, 400 paracadutisti americani hanno popolato l’area della base Andersen di Guam, isola militarizzata nel Pacifico. Negli stessi giorni, nel Mar cinese meridionale due portaerei Usa si sono esercitate al largo delle Filippine, con un bombardiere B-52 avvistato nella stessa zona. Come notava Formiche.net, “gli Stati Uniti hanno individuato nel Mar Cinese l’ambito esiziale del contenimento cinese, con effetto allargato che arriva fino alla Greater bay area (progetto strategico del Partito-Stato dietro alla forte volontà di controllare Hong Kong) e a Taiwan”.

LA POSIZIONE SU TAIWAN

Il Dragone non è certo da meno. A metà aprile, in piena emergenza Covid-19, la Marina cinese ha varato a tempi record la sua seconda Type 075, nave d’assalto anfibio che concorrerà a potenziare la proiezione su tante acque contese. Su Taiwan, la posizione di Pechino resta invariata dal 1949, quando per la Repubblica popolare cinese cessò di riconoscere la Repubblica di Cina, trasferitasi di fatto sull’isola. Un anno fa, veniva rilasciato il nuovo documento strategico intitolato La Difesa nazionale cinese nella nuova era (con una sintesi in inglese, proprio per mandare ai competitor messaggi chiari).

Tra gli obiettivi, si esplicitavano l’opposizione e il contenimento alla “indipendenza di Taiwan”. Tutto ciò è stato ribadito oggi nelle parole di Zhao Lijian con l’annuncio delle sanzioni a Lockheed Martin. Secondo il portavoce, la vendita Usa “danneggia la pace e la stabilità nello stretto di Taiwan”. La reazione ufficiale è accompagnata da quella più minacciosa di Global Times, il quotidiano del Partito comunista cinese a diffusione globale, uno dei principali strumenti della propaganda del Dragone. Con una serie di esperti e accademici cinesi, ha avvertito i siti dei missili Patriot forniti dagli Usa sono destinati a diventare “first targets” in caso di scontro militare.

LA VENDITA

Il riferimento è all’autorizzazione concessa pochi giorni fa dal dipartimento di Stato Usa per la potenziale vendita (nella forma di Foreign military sales) da 620 milioni di dollari. Riguarda la ri-certificazione dei missili Pac-3, comprensiva di test, riparazioni, sostituzioni, parti di ricambio e supporto logistico. Tutto ciò dovrebbe permettere al sistema di difesa missilistica Patriot di Taiwan di restare operativo per altri trent’anni. Secondo la Defense security cooperation agency (agenzia del Pentagono che si occupa che si occupa di diplomazia della Difesa, seguendo le direttive strategiche del dipartimento di Stato), la vendita “contribuirà a supportare la densità missilistica del destinatario e garantirà la prontezza per le operazioni aeree; il cliente utilizzerà questa capacità come deterrente per le minacce regionali e per rafforzare la difesa nazionale”, un ruolo che piace a Washington. Primo contraente è proprio Lockheed Martin, il campione nazionale a stelle e strisce.

I RAPPORTI TRA WASHINGTON E TAIPEI

Nulla di nuovo sotto il sole d’oriente. Come riporta l’autorevole istituto svedese Sipri, il 100% dell’import militare di Taiwan (seppur in calo del 41%proviene dagli Stati Uniti. A maggio, il dipartimento di Stato americano ha approvato la possibile vendita di 18 siluri MK-38 nella loro ulima versione, assetti utili nella competizione in campo navale. Lo scorso anno, Taipei ha ordinato dagli Usa 108 carri armati e 66 caccia F-16V. La vendita dei Fighter Falcon (che Taiwan utilizza dai primi anni Novanta) infiammò i rapporti tra Pechino e Washington la scorsa estate, tanto da portare la Cina ad annunciare sanzioni nei confronti delle aziende americane coinvolte, tra cui sempre Lockheed Martin. La commessa, fortemente sostenuta da Mike Pompeo, fu descritta dal ministero degli Esteri cinesi come “una seria interferenza ai nostri affari interni, che mina la nostra sovranità e i nostri interessi di sicurezza”.

REAZIONI DEL DRAGONE

Il tema è storico. Minacce di sanzioni per le vendite a Taiwan hanno riguardato in passato altri contractor americani, tra cui General Dynamics e Honeywelle International. Difficile che ciò possa avere impatti sul business delle aziende Usa, più probabile che lo abbia sulle relazioni tra i due Paesi. D’altra parte, le forniture a Taiwan sono solo un piccolo tassello del più complesso puzzle dei rapporti sino-americani, piuttosto altalenanti nell’era targata Donald Trump. Al momento, la competizione sembra concentrarsi nel Pacifico e soprattutto nel Mar cinese meridionale. Tra Filippine e Taiwan, il bacino appare agli occhi cinesi chiuso ad est dai partner degli Stati Uniti. Allargando lo sguardo a nord-est, verso il Mar cinese orientale, per Pechino la situazione sembra ancora più spinosa. Il Giappone è fresco di autorizzazione da parte del dipartimento di Stato Usa per la maxi-vendita da 105 F-35. Tokyo arriverebbe a 147 velivoli di quinta generazione, primo partner internazionale del programma.


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