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Vi spiego perché la Via della Seta è in salita. Parla Mingey (Rhodium)

Il coronavirus rallenterà i progetti cinesi nel Mediterraneo, a partire dalla Via della Seta? Formiche.net ne ha parlato con Matthew Mingey, research analyst del China Macro & Policy team del Rhodium Group, uno dei principali istituti di ricerca al mondo sulla Cina.

Mingey, partiamo dalle basi. Quali sono gli obiettivi della Cina nel Mediterraneo?

Gli obiettivi della Cina includono lo sviluppo di infrastrutture e collegamenti commerciali, ma anche la creazione di sostegno internazionale alle sue politiche all’interno dell’Unione europea e delle altre organizzazioni internazionali.

Per esempio?

Su una serie di questioni — il Mar Cinese Meridionale, lo Xinjiang e ora Hong Kong — la Cina cerca costantemente di rafforzare il sostegno internazionale utilizzando come leva i legami economici. In diversi Paesi mediterranei, questa strategia sembra funzionare. Pensiamo a quando, nel 2017, la Grecia fece bloccare una dichiarazione europea che condannava la Cina sui diritti umani o, più recentemente, quando diversi Paesi europei (tra cui Marocco, Egitto e Libano) hanno dato il loro appoggio alla nuova legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong.

Quale sarà il destino della Via della Seta nel Mediterraneo dopo i cambiamenti politici ed economici causati dal coronavirus?

Mi aspetto un leggero rallentamento nei nuovi progetti o ritardi nei progetti esistenti e già annunciati. Già prima della pandemia, le principali policy bank cinesi si erano mosse per migliorare il modo in cui valutano i rischi legati ai Paesi e ai progetti e per frenare alcuni dei loro prestiti più a rischio. Il coronavirus ha aumentato la pressione economica sui governi di tutto il Mediterraneo e i Paesi concentrati sulla risposta alla crisi e sul dover far fronte ai debiti esistenti potrebbero essere riluttanti ad assumersi nuovi debiti.

L’Italia è l’unico Paese del G7 ad aver firmato il memorandum d’intesa sulla Via della Seta. Il coronavirus cambierà l’approccio alla Via della seta in Europa?

Non penso che la pandemia cambi le basi dell’approccio cinese all’Europa e al Mediterraneo, ma mette in luce alcune insidie. A un anno di distanza dal memorandum Italia-Cina, sono stati pochi i cambiamenti concreti nelle tendenze esistenti in materia di investimenti e progetti finanziati. Ciò che è cambiato per l’Italia e l’Europa durante il coronavirus è l’obiettivo della diplomazia pubblica cinese: vediamo che i diplomatici cinesi sono molto più attivi sui social media e le donazioni di strumentazioni mediche durante la crisi sono state altamente pubblicizzate e politicizzate.

Ha funzionato?

È stata una campagna di pubbliche relazioni efficace in alcuni casi, ma fallimentare in altri. Il coronavirus ha anche spinto l’Europa ad accelerare il processo di rivalutazione dei suoi legami con la Cina, in particolare la sua dipendenza dalla Cina per determinati beni e importazioni e la più ampia questione del sostegno statale alle imprese cinesi in patria e all’estero. La Cina sarà ancor più incoraggiata a raddoppiare gli impegni verso i Paesi che sono stati ricettivi nei confronti della Via della seta, anche in Europa orientale.

Parliamo della trappola del debito cinese. Funziona?

Ci sono preoccupazioni reali se parliamo di prestiti ufficiali della Cina, sbalzo del debito e indebitamento nei Paesi che ricevono. Tuttavia, non ci sono molte prove che le “trappole del debito” esistano o siano uno strumento importante per le attività creditizie cinesi all’estero. La tipica storia della “trappola del debito” racconta che le banche cinesi concedono prestiti ai Paesi per sviluppare asset strategici, con la consapevolezza che questi non saranno in grado di ripagarle e che le aziende cinesi possono quindi mettere le mani su tali attività scambiato debito per azioni.

Il caso Sri Lanka, per esempio?

Al Rhodium Group, abbiamo trovato prove abbastanza evidenti che il caso più citato, il porto di Hambantota nello Sri Lanka, non presenta dinamiche di “trappola del debito”. Lo Sri Lanka ha dato alla Cina una quota di controllo nel porto, ma principalmente per raccogliere fondi per il pagamento di obbligazioni internazionali, non per liquidare i prestiti della Cina per il progetto. Ed è stato corroborato da altri ricercatori.

È ipotizzabile vedere la “trappola del debito” cinese applicata in Europa?

Finora non vedo “trappole del debito” in ballo. È importante notare che non tutti gli accordi di prestito cinesi includono espressioni che consentirebbero ai finanziatori di impossessarsi facilmente di attività o scambiare debito per azioni. E la Cina presta relativamente poco all’Europa da governo a governo, quindi i potenziali rischi di “trappola del debito” sono quasi inesistenti. Ma in ogni caso, anche se ne avessero l’opportunità, non credo che le banche cinesi sarebbero intenzionate a completare uno scambio di azioni. Che si sia trattato o meno di “trappola del debito”, il caso dello Sri Lanka ha danneggiato gravemente l’immagine della Cina come finanziatore globale e ha spinto i Paesi di tutto il mondo a riconsiderare i prestiti cinesi. Il costo reputazionale per le più ampie ambizioni economiche e diplomatiche della Cina è probabilmente troppo elevato. Mentre ci sono timori sul debito per i principali progetti cinesi in Europa (per esempio in Montenegro), la Cina ha una vasta gamma di opzioni di rifinanziamento e rinegoziazione che può perseguire.

La necessità per la Cina di dare priorità agli investimenti interni rappresenta un problema per la Germania e l’Unione europea?

La Cina ha evidentemente la capacità di promuovere investimenti nazionali ed esteri, se lo desidera. Anche in un ambiente non-Covid, gli investimenti della Cina nell’Unione europea dovrebbe affrontare qualche difficoltà, visti sia la precaria situazione del debito interno sia la sempre più forte attenzione dell’Unione europea sulla politica industriale della Cina e sugli investimenti in settori strategici. Sebbene sia presto, i primi dati suggeriscono che la Germania e l’Unione europea potrebbero beneficiare del bisogno di investimenti della Cina. Gli investimenti statunitensi ed europei in Cina sono effettivamente aumentati, non diminuiti, dopo la crisi.

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