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Missioni internazionali approvate. Tutti gli impegni per le Forze armate italiane

Quarantuno impegni all’estero per un massimo di 8.600 militari, schierati dal Golfo di Guinea all’Afghanistan per la difesa degli interessi nazionali e il contributo alla pace e stabilità internazionale. Con il voto odierno alla Camera, il Parlamento ha approvato l’autorizzazione a tutte le missioni all’estero dei nostri militari. Nonostante qualche fibrillazione nella maggioranza e il voto disgiunto sulla Libia (con 23 no tra i deputati di maggioranza), l’Italia potrà partecipare agli impegni previsti dal governo con la delibera dello scorso 21 maggio.

LE PAROLE DI GUERINI

Sul voto positivo di Montecitorio (dopo quello di palazzo Madama) è arrivata la “soddisfazione” del ministro della Difesa Lorenzo Guerini. “È la riconferma del pieno sostegno ai nostri militari impegnati in molte parti del mondo”, ha detto. “Testimonia che il Paese sostiene unito gli sforzi dei nostri militari nel mantenimento della sicurezza internazionale; uomini e donne in uniforme che ogni giorno svolgono i loro compiti con professionalità e dedizione e con la grande umanità che li contraddistingue; un patrimonio di credibilità – ha rimarcato – che le nostre Forze Armate si sono costruite negli anni e che in ogni occasione mi viene ribadito da tutti gli interlocutori internazionali attraverso attestati di stima e apprezzamento”.

L’IMPEGNO IN LIBIA

La novità maggiore riguarda la Libia con EuNavForMed-Irini, la missione al comando dell’ammiraglio Fabio Agostini che punta a garantire l’embargo sancito dall’Onu. L’Italia vi parteciperà con un contributo massimo di 500 militari, un’unità navale e tre mezzi aerei, da aggiungere agli assetti (ancora pochi), messi a disposizione degli altri Paesi. Il nodo politico (che ha fatto temere al Senato) ha riguardato però l’altro impegno in Libia, ovvero la missione bilaterale di supporto e assistenza (Miasit) per cui si confermano i numeri dello scorso anno: un dispiegamento massimo di 400 militari (effettivi circa 240), 142 mezzi terrestri e le unità navali derivanti da Mare Sicuro. Al centro delle fibrillazioni nella maggioranza c’è il sostegno alla Guardia costiera libica, colpevole (a detta dei contrari) di ledere i diritti umani dei migranti. Sul tema c’è oggi in Libia il ministro Luciana Lamorgese, per cui è previsto un incontro con Fayez al Serraj.

TRA SAHEL…

Al tentativo di stabilizzare la Libia si lega un altro nuovo impegno italiano all’estero, quello in Sahel, regione più che connessa al nord Africa con una crescente instabilità tra terrorismo jihadista e traffici illeciti. “Dal 2012 è teatro di una gravissima crisi securitaria, umanitaria e istituzionale che affonda le radici in un contesto di già profonda fragilità”, ha notato il ministro Lorenzo Guerini intervenendo sul tema proprio a Montecitorio. Per evitare il disastro, con un dispiegamento massimo di 200 militari (consistenza media pari a 87) e 20 mezzi terrestri, l’Italia aderisce alla task force internazionale Takuba, nata su iniziativa francese con compiti di addestramento e supporto al contrasto del terrorismo tra Mali, Niger e Burkina Faso. Supporterà la missione Barkhane e coopererà con l’iniziativa politica (sempre su spinta di Parigi) della Coalizione per il Sahel.

…E NIGER

Tra l’altro, per l’Italia nella regione già opera la Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger (che in passato creò malumori a Parigi), per cui nel 2019 si era autorizzato un dispiegamento massimo di 290 militari, 160 mezzi terrestri e cinque mezzi aerei. Numeri confermati per il 2020. Tra Sahel e Niger, “è da segnalare con soddisfazione un cambio di passo rispetto alle semplici attività di capacity building (addestramento e mentoring) degli ultimissimi anni che, se anche non rischiano di creare imbarazzi alla nostra classe politica, impediscono di cogliere le opportunità offerte dal mondo che cambia”, ha notato su Airpress il generale Marco Bertolini, già comandante del Comando operativo di vertice interforze (Coi).

IL GOLFO DI GUINEA

Novità inattesa della delibera governativa è stata la missione nel Golfo di Guinea, nelle acque internazionali dell’Oceano indiano tra Nigeria, Ghana e Costa d’Avorio, lì dove “si assiste alla crescente incidenza del fenomeno della pirateria marittima”, spiegava il ministro della Difesa alle commissioni parlamentari. Per questo, il Consiglio dei ministri ha sancito l’avvio di un “dispositivo aeronavale nazionale per attività di presenza, sorveglianza e sicurezza”, con l’obiettivo di contrastare e prevenire la pirateria e tutelare asset strategici per gli interessi nazionali, tra cui si citano prima di tutto quelli estrattivi dell’Eni. Con due mezzi aerei e altrettante unità navali, opereranno nelle acque internazionali al massimo 400 unità (consistenza media in teatro di 65). “Le nostre unità – ha spiegato l’ammiraglio Ferdinando Sanfelice di Monteforte, esperto di studi strategici – si coordineranno con le altre iniziative già ricordate e, auspicabilmente, apriranno la strada a operazioni multinazionali, le sole atte a esercitare una pressione continua sulle organizzazioni criminali che hanno reso il Golfo di Guinea una zona di pericolo per il commercio internazionale”.

GLI IMPEGNI MAGGIORI

Confermati poi i maggiori impieghi già in essere: l’impegno anti-Isis in Iraq (1.100 unità, 270 mezzi terrestri e 12 velivoli), la partecipazione a Unifil in Libano (1.076 unità, 278 mezzi terrestri e 8 aerei), la missione Resolute Support in Afghanistan (800 unità, 145 mezzi terrestri e 8 velivoli, in attesa di novità sui negoziati intra-afgani) e la Nato Joint Enterprise nei Balcani (oltre 600 unità e 204 mezzi terrestri). In tutto, gli impegni prorogati, contato un dispiegamento massimo di 7.488 unità, in aumento rispetto al 2019 (7.343), ma in calo dal punto di vista della consistenza media (6mila, contro le 6.290 dello scorso anno). La missione maggiore riguarda l’Iraq, la cui stabilità resta tra i principali interessi strategici per l’Italia. “Il 2020 sarà un anno cruciale per il Paese”, ha notato Guerini, ricordando la minaccia dell’Isis, i rischi di instabilità e il fatto che l’Iraq sia il primo fornitore di petrolio per l’Italia (dati 2019, Unione petrolifera), con una copertura del 20% dell’import nazionale di greggio.

LA MISSIONE IN IRAQ

Lo scorso anno si era autorizzato un dispiegamento massimo di 900 unità per contribuire alla Coalizione internazionale anti-Isis. Per il 2020, i numeri salgono a 1.100 unità, con l’aggiunta di una batteria missilistica Samp-T che sarà schierata in Kuwait per proteggere gli assetti nazionali “a seguito dell’evoluzione dello scenario geo-politico nell’area d’operazioni”. Secondo il generale Mario Arpino, già capo di Stato maggiore della Difesa, “si intravede un potenziale positivo che, pur stentando a emergere, alla distanza ripagherà chi non lo ha abbandonato”. D’altra parte, accanto alla Coalizione anti-Isis c’è la parallela Nato Training Mission (46 unità per l’Italia) che dovrebbe progressivamente ereditarne le competenze. Nel caso in cui il potenziamento si concretizzerà, l’Italia potrebbe proporsi per il comando.

IN AFGHANISTAN

Per l’Afghanistan, il Parlamento ha approvato la conferma di 800 unità nell’ambito della missione a guida Nato Resolute Support della Nato. Non si esclude una rimodulazione “in senso riduttivo” nel caso di un miglioramento delle condizioni di sicurezza. L’accordo raggiunto a fine febbraio tra Stati Uniti e talebani prevede una riduzione della presenza straniera fino a 12mila unità entro l’estate. Si tratta però di un ritiro “condizionato” al rispetto dell’accordo da parte dei talebani, ovvero la cessazione delle ostilità verso le forze afgane e il buon esito dei negoziati tra le forze del Paese. Secondo il generale Arpino, “la prospettiva di sganciamento, pur inattuabile nell’immediato, si affaccia forse nel 2021”, come tra l’altro lasciato presagire dal capo di Stato maggiore della Difesa Enzo Vecciarelli.

I BALCANI

Resta importante, infine, l’impegno nei Balcani con un dispiegamento massimo di 626 unità (e 203 mezzi terrestri) per la missione Kfor – Joint Enterprise. “La fragilità della situazione del Kosovo – ci ha spiegato il generazione Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa – deve costituire un elemento di forte preoccupazione per Roma, perché da lì potrebbe scaturire una scintilla in grado di incendiare nuovamente la regione, il che rende assolutamente prioritario il nostro impegno militare in Kfor”. Oltre alle debolezze istituzionali della regione e alle incertezze del Covid-19, ha aggiunto, “a rendere più aleatoria la stabilità della regione balcanica contribuiscono in modo determinante le ambizioni di potenze esterne ad acquisire e mantenere un’influenza sui Paesi che ne fanno parte, a partire dalla Russia, nei confronti della Serbia, ma senza dimenticare la Turchia di Erdogan che sta profondendo ingenti risorse diplomatiche, politiche ed economiche, ricordando il secolare dominio ottomano”.

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