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Missioni militari in Libia. Perché il governo trema al Senato. Il diario di Colombo

“Sulla Libia vanno sotto, garantito al limone”. Gli auruspici – più che l’auspicio – stanno per materializzarsi al Senato, oggi pomeriggio, quando si voterà il decreto, che si vota ogni anno, di rifinanziamento delle missioni militari dell’Italia all’estero. Il voto, peraltro, neppure è segnato, nel calendario dei lavori dell’aula di palazzo Madama, ma la discussione e il voto ci saranno: la prima è prevista a partire dalle ore 16 e, il voto, verso le ore 19. Ma che succede?

LA RICHIESTA DEL VOTO “PER PARTI SEPARATE”

Succede che una compatta falange di ‘sinistri’ della maggioranza che regge il governo (Giovani Turchi, dentro il Pd, capitanati da Francecsco Verducci, LeU e gli ex M5s) chiederà e otterrà, perché così prevede il Regolamento, il voto ‘per parti separate’ sul rifinanziamento delle missioni militari dell’Italia.

Per la ‘falange’ macedone che compone l’ala sinistra della maggioranza le missioni militari italiane all’estero (Libano, Iraq, Africa, etc.) vanno bene tutte, tranne una: la Libia. La pattuglia di senatori ‘ribelli’ (quattro senatori del Pd: Verducci, Valente, Di Rienzo e Nannicini; quattro di LeU: De Petris, Errani, La Forgia e Grasso; tre ex M5s che oggi siedono nel Misto: De Falco, Nugnes e Fattori, per un totale di 11 voti che verranno meno, al governo e alla maggioranza) non sente ragioni: rifinanziare la missione militare in Libia, che aiuta e sostiene la Guardia costiera libica nel pattugliamento del mare Mediterraneo, vuol dire “finanziare gli assassini”. La tesi è che la Guardia costiera libica agisce ‘in combutta’ con gli scafisti e il loro “odioso traffico di esseri umani”.

LA CONTA DEI DISSIDENTI

I ‘dissidenti’ diranno ‘no’ alla missione in Libia perché “è come finanziare il traffico di esseri umani”, come hanno già reso noto in commissione Esteri, sulla scorta di diverse inchieste giornalistiche, e diranno ‘sì’ a tutte le altre, grazie, appunto, alla possibilità del voto ‘per parti separate’.

Il regolamento delle Camere lo consente, il voto ‘per parti separate’, perché c’è un precedente creato dall’esponente di SI, ed oggi presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Regeni, Erasmo Palazzotto, proprio nel voto di un anno fa sullo stesso tema, le missioni militari all’estero. Ai tempi, il dissenso dell’ala sinistra del Pd (Orfini&co.) rientrò all’ultimo (i Giovani Turchi si astennero), ma stavolta non rientrerà. E persino Italia viva, o alcuni dei suoi, potrebbe votare contro il rifinanziamento della missione in Libia, mandando sotto il governo, sia al Senato sia presto, quando si replicherà il voto, alla Camera.

MAGGIORANZA SUL FILO

Ma, restando al Senato, la maggioranza – che oggi balla sul filo, intorno ai 165/167 voti – perdendo 11 senatori finirà ben al di sotto del quorum della maggioranza assoluta (160) e, se tutti e undici voteranno contro, intorno ai 155 voti. Insomma, serve – e servirà – il ‘soccorso’ delle opposizioni perché, anche se sul voto di oggi basta la maggioranza semplice, la maggioranza assoluta è una soglia ‘politica’, e ‘psicologica’, che il governo non si può permettere il lusso di mancare, specie di questi difficili e tumultuosi tempi.

DI MAIO RASSICURA, MA…

A nulla sono valsi, nel cercare di smontare il punto di vista dei ‘ribelli’, le rassicurazioni fornite dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, alla Difesa, e dell’ex ministro degli Interni, Marco Minniti. Il primo, in sede di discussione delle missioni nella Commissione Esteri del Senato, ha annunciato importanti modifiche al Memorandum con la Libia.

Modifiche incassate nel corso della sua visita a Tripoli, che dal governo di Al Serraj aveva strappato la disponibilità a ridiscuterlo. Solo che della riunione della commissione bilaterale italo-libica, prevista per il 2 giugno, non si sono avute più notizie, segno che non si sono fatti dei passi in avanti. Eppure, va dato atto al ministro degli Esteri, fino a poco tempo fa fautore della soluzione italiana al conflitto libico attraverso l’identificazione di un “inviato speciale”, di aver messo in campo una strategia nuova. La proposta di un “piano di ricostruzione europeo per la Libia”: un approccio strategico, dato dal fatto che il piano di ricostruzione europeo deve contenere un nuovo memorandum Ue perché non può gestirlo l’Italia da sola.

Ma una maggioranza di governo, sul caos libico, non c’è perché non c’è una “politica”, una “strategia complessiva sull’immigrazione”, per parafrasare, vox clamantis in deserto, le richieste di Minniti, uno che aveva sia una strategia sia un certo polso. Il tutto accade proprio nel momento in cui sarebbe ancora più urgente coniugare la tutela della salute e il principio di solidarietà, a meno che non si consideri ‘giusto’ riempire il Mediterraneo di navi in quarantena o di procedere con il “modello” Ocean Viking, arrivata  ieri –alla vigilia del voto in Parlamento, singolare coincidenza – a porto Empedocle, dopo una decina di giorni di peregrinazioni, con 180 migranti salvati in acque internazionali cui non è stato assegnato un porto sicuro.

IL PRONTO SOCCORSO DELLE OPPOSIZIONI

Morale, “la maggioranza, così, va sotto, garantito al limone”, a meno che non arrivi il ‘soccorso azzurro’ o di tutta l’opposizione di centrodestra che, sempre in sede di commissione Esteri, si è detta favorevole a dire sì a ‘tutte’ le missioni militari all’estero dell’Italia. Ma Lega e FdI potrebbero, stasera, al Senato, cercare ‘lo sgambetto’: potrebbero, cioè, uscire dall’aula o astenersi, in modo tale da dimostrare che la maggioranza, al Senato, “non c’è” e scatenarsi al grido di “avete visto?! Non avete i numeri”.

I DECRETI SICUREZZA

Si replica, giovedì, sui ‘decreti Sicurezza’, quando la maggioranza prenderà per le corna il tema del cambio, se non dell’abolizione, dei decreti targati Salvini: dato, dal Pd, come cosa fatta, i 5Stelle, per ora, hanno chiesto di rinviare il ‘papiello’ a settembre, ma sempre Orfini – e altri pezzi dei dem – non ci stanno, pronti a fare ‘casino’, sul tema.

In ogni caso, prima ancora che, nelle aule delle Camere, arrivi il voto sullo scostamento di bilancio, o sul Mes, una cosa è certa: la maggioranza, al Senato, ‘non ha i numeri’.

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