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Dal disagio sociale alla sanità. La politica corra ai ripari. La relazione della Dia letta da Caligiuri

La lettura della relazione della Dia induce a riflessioni che dovrebbero essere l’occasione per andare al di là dei luoghi comuni, che com’è noto sono sempre i più affollati. È difficile sintetizzare un lavoro così corposo come quello predisposto dall’organismo diretto da Giuseppe Governale. Mi riprometto di leggerlo con attenzione e nel frattempo provo a riflettere su quanto riportano i media.

Emerge la capacità di analisi frutto delle competenze maturate nel corso degli anni. La relazione fotografa quanto sta avvenendo che dovrebbe servire ai decisori politici per avviare iniziative conseguenti, al di là dei semplici commenti, per i quali bastiamo – e avanziamo – tutti gli altri.

I fenomeni non sono nuovi e la pandemia li sta rendendo semplicemente e drammaticamente ancora più acuti. Le dinamiche contenute nel rapporto della Dia sono praticamente tutte note ma il periodo della pandemia ha consentito di riflettere ancora più approfonditamente su di esse, consentendo di unire i fili, di contestualizzare, di guardare in prospettiva. Caratteristiche tipiche di un lavoro di intelligence.

Riservandomi eventualmente di svolgere un approfondimento più organico, provo a soffermarmi brevemente su alcuni punti riportati nell’immediatezza dai media, tentando di contestualizzarli.

IL DISAGIO SOCIALE

Il disagio sociale (fenomeno particolarmente seguito da “Formiche” anche come rivista qui e qui) sarà con tutta evidenza nel nostro Paese la conseguenza maggiore della pandemia. Già molto accentuato prima del coronavirus, il disagio sociale certamente favorirà le mafie ma in realtà è maggiormente alimentato dalla qualità delle scelte politiche. L’effetto annuncio e la dimensione della propaganda al momento sembrano funzionare. Da adesso a settembre dopo la disastrosa stagione estiva, l’aspetto centrale sarà rappresentato dal punto di equilibrio che si raggiungerà tra le condizioni di indigenza e la riduzione del benessere poiché da questo dipenderà l’effettiva tenuta sociale e quindi la stabilità delle istituzioni. E più che il disagio sociale coltivato a Sud dalle mafie, il rischio ancora più grave che potrebbe verificarsi, e anch’esso collegato alle mafie, è una ripresa delle rivendicazioni autonomiste delle regioni del Nord, determinato dalle conseguenze della crisi economica.

L’ALTRO STATO

Si è giustamente evidenziato che in questa fase le mafie si sostituiscono allo Stato in termini di servizi sociali. Il welfare alternativo è strutturale nelle organizzazioni criminali, come ha dimostrato qualche anno fa uno studio scientifico dell’Università “Vanvitelli” di Napoli. L’altro tema riportato nella relazione è che nel 2019 c’è stato il record di scioglimenti di comuni per infiltrazioni mafiose, per quasi la metà in Calabria, a cui si aggiungono due aziende sanitarie, entrambe anch’esse in Calabria. Due considerazioni sulla relazione. Nonostante incida in modo rilevante, non è semplicemente un problema di “pacchetto di voti” che le mafie possono orientare, ma la loro pervasività nei comuni è la conseguenza dell’abbandono del territorio da parte della politica nazionale che dal 1993 ha si è progressivamente chiusa sul sistema elettorale delle liste bloccate, sganciando l’eletto dalla rappresentanza reale degli elettori. Questa impostazione si è giustificata proprio con la necessità di non condizionare i candidati, ma, dopo più di un quarto di secolo, il risultato è che il peso delle mafie a livello locale è cresciuto a dismisura, sostituendosi sempre di più alla politica, che ha espresso classi dirigenti sempre più distanti dagli interessi dei cittadini. Non sarebbe, allora, il caso di rivedere le regole elettorali nazionali? Varrebbe lo stesso per le regole dello scioglimento dei comuni. Infatti, si evidenzia nella relazione della Dia che ben 16 comuni su 51 sono stati sciolti due o addirittura tre volte. Quale più lampante dimostrazione che il sistema vada rapidamente rivisto?

LE ALTRE MAFIE

Viene evidenziata la presenza sempre più invadente nel nostro Paese delle mafie straniere. A cominciare da quella nigeriana, che si sta espandendo nel mondo a macchia d’olio. Ci sono due aspetti sui quali riflettere. La criminalità è un problema globale e le risposte sono invece confinate a essere prevalentemente nazionali. L’asimmetria della globalizzazione favorisce in modo strutturale le mafie, che rischiano di minare la sicurezza degli stati soprattutto attraverso i flussi finanziari di cui dispongono. Non a caso la City di Londra è contemporaneamente il primo centro finanziario del mondo e il primo centro di riciclaggio del pianeta. Si deve quindi approfondire da un lato il ruolo delle banche (non so a riguardo se la relazione abbia riservato qualche passaggio: se si, sarebbe stato opportuno riprenderlo nei resoconti delle agenzie) e dall’altro l’equilibrio tra mafie italiane e mafie straniere, che, in prospettiva, può generare meccanismi differenti: alleanze, competizioni, scontri frontali. Temi su cui incentrare l’attenzione fin da ora.

ROMA CAPITALE

Nei giorni scorsi, Beppe Grillo ha sostanzialmente fatto capire che i romani non si meritano un sindaco come Virginia Raggi. Non è una mia funzione entrare nel merito, ma nella relazione della Dia leggiamo che Roma in particolare, che è il centro del potere politico, delle forze di polizia e dell’intelligence, è un laboratorio criminale, in cui si stanno sviluppando nuove tendenze in aggiunta a quelle tradizionali. Tra cinque anni a Roma ci sarà il Giubileo: un grande affare anche per la mafie? Ma è tutta la “questione romana”, che dal mio punto di vista è la vera “questione nazionale”, ben più di quella meridionale e della sopraggiunta “questione settentrionale”. Una “questione” che andrebbe analizzata con urgente attenzione, avendo il coraggio di guardare nel cuore della storia nazionale.

LA SCARCERAZIONE DEI MAFIOSI

Sulla scarcerazione dei detenuti mafiosi a causa del coronavirus la relazione ha evidenziato i notevoli effetti nefasti. Questo aspetto va inquadrato ben al di là dei casi specifici perché tutta una serie di leggi di fatto aprono possibilità enormi alla criminalità. E in questo anche le parole utilizzate hanno la loro funzione: definire “imprenditore” chi ricicla i soldi delle mafie è un’improprietà linguistica oltre che un travisamento della realtà. Per par condicio, forse ma è il caso di approfondire, come c’è il “presunto boss” dovrebbe esserci anche il “presunto imprenditore”. La legislazione antimafia adottata dopo l’assassinio di Carlo Alberto Dalla Chiesa e poi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ha dato risultati importanti, ma adesso va aggiornata tenendo conto che lo scenario è in rapidissima evoluzione. Si tratta di un complesso di norme che a volte è molto farraginoso e che nel corso degli anni ha evitato tantissimi episodi di corruzione e di criminalità ma nello stesso tempo occorre constatare che il peso delle mafie nella penetrazione dell’economia e negli enti locali è in alcuni ambiti aumentato.

IL METODO DEL PONTE MORANDI

Nella relazione si fa esplicita menzione che le imprese mafiose risultano affidabili e questo contribuisce ad espandere il peso della criminalità. È accertata da numerosissime inchieste la presenza nel campo dei lavori pubblici delle imprese mafiose. Si fa altresì rifermento al metodo utilizzato nel ponte Morandi per tenere a bada la mafia dai lavori pubblici. Mi auguro davvero che sia così ma siamo davvero sicuri che non ci sia neanche un minino di collegamento diretto e indiretto con le imprese mafiose? Non ho prove né indizi, come direbbe Pier Paolo Pasolini, ma da intellettuale di provincia pongo semplicemente il problema. E neanche so se il decreto Semplificazione appena approvato dal governo sugli appalti consenta varchi ulteriori alle mafie.

RIONE SANITÀ

Molto opportuno è stato l’approfondimento sulla sanità e non solo per le tragiche vicende dell’attualità. I soldi attirano inevitabilmente le mafie e proprio in questo settore si potrebbe realizzare ancora di più la tempesta perfetta tra scelte politiche regionali (il 70-80 dei bilanci delle regioni è riservato alla sanità), corruzione (che per Giorgio Galli è la struttura di gestione del potere dell’Italia contemporanea poiché la corruzione è diventata una struttura sociale) e criminalità (che investe nei settori più redditizi). Approfondire in modo specifico questi nessi, per esempio anche nella sanità privata, potrebbe essere di una certa utilità. E non solo per comprendere dinamiche delle aree meridionali del Paese.

IL PROBLEMA DEI PROBLEMI: LA CLASSE DIRIGENTE

Dal mio punto di vista, il passaggio centrale, che va estratto dalle quasi 900 pagine della relazione della Dia, potrebbe essere quando si scrive: “Del modo di muoversi in anticipo delle mafie, che in passato hanno spesso ‘imposto il ritmo’ e che sono state quasi sempre un passo avanti perché dotate di una classe dirigente capace di guidare le proprie schiere approfittando della farraginosità dell’apparato burocratico, di ‘interessi personali’ e della tendenziale ritrosia all’assunzione delle responsabilità”. Secondo me questo rappresenta l’aspetto centrale, il problema dei problemi, la causa delle cause. Solo che la mafia sembra più avanti non tanto della burocrazia quanto della classe politica e per una ragione molto semplice: le modalità di selezione delle rispettive classi dirigenti. Nelle democrazie del XXI secolo, che per Daniel Bell sono costituzionalmente inadatte a produrre delle élite pubbliche efficienti, le classi dirigenti vengono individuate attraverso i concorsi e le elezioni. Le organizzazioni criminali, come quelle terroristiche e quelle finanziarie, utilizzano di più il metodo di individuare persone che abbiano reali capacità di ricoprire le funzioni. Questo genera un’asimmetria che, a mio modo di vedere, favorisce oggettivamente le mafie. Il Covid-19 sarà un punto di svolta anche per la consapevolezza nella lotta alle mafie? Sarebbe auspicabile e la relazione della Dia offre spunti di riflessione per renderci consapevoli che i prossimi anni saranno davvero difficili.


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