Premessa: chi convalida le elezioni dei parlamentari?
Secondo la Costituzione italiana (art.66) ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e incompatibilità. Dunque i “pari” giudicano i pari e i tribunali ordinari sono esclusi: le decisioni spettano, secondo i regolamenti di Camera e Senato (per la precisione: art.17 reg. Camera e art. 19 reg. Senato) alle “Giunte”, organi delle Camere che prendono il nome di “Giunta delle Elezioni” a Montecitorio, con l’aggiunta di “e delle immunità parlamentari” a palazzo Madama.
Dunque i problemi di riconteggio dei voti, di riapertura delle schede, o di verifica dei verbali che giungono dalle circoscrizioni elettorali, sono affrontati da queste commissioni speciali nominate direttamente dai presidenti delle Camere, tenendo conto della proporzionalità rispetto alla consistenza dei gruppi parlamentari. In concreto: se un candidato lamenta di essere stato ingiustamente escluso dalla nomina a parlamentare per un documentato motivo, è alle Giunte che deve rivolgere il suo alto laio. È chiaro, no?
Nei giorni scorsi la Giunta delle elezioni della Camera ha discusso il ricorso di una candidata della Lega, peraltro risultata comunque eletta in quanto vincente in altra circoscrizione elettorale, che rivendicava la sua elezione in un collegio uninominale del Lazio dove era risultata sconfitta per 17 voti dal candidato pentastellato. La candidata aveva chiesto alla Giunta una verifica del risultato, puntualmente effettuata attraverso il riesame dei verbali di tutti i seggi.
L’esito? Clamoroso: la candidata ricorrente è risultata vincente con un vantaggio di 115 voti rispetto all’avversario. Partita chiusa, a questo punto? No. La Giunta decide di procedere ad un riconteggio a campione delle schede valide, prima di proporre all’aula parlamentare l’esclusione dell’eletto pentastellato e chiede al tribunale che ha il compito di custodirle di poter accedere alle schede. E qui il clamoroso colpo di scena: le schede, ricoverate in modo fortunoso e alquanto improprio in un gabinetto (nel senso di wc, ritirata, toilette, per capirci), erano andate distrutte per lo scoppio delle tubature con conseguente allagamento del medesimo. Insomma maleodorante “poltiglia inconsultabile”, secondo la descrizione fattane dal presidente del Tribunale. Dunque addio verifica.
Quale sarà la decisione finale della Giunta? A maggioranza propone di confermare l’elezione del pentastellato perché vi è impossibilità a procedere nella verifica. Ovviamente si è acceso un animato dibattito con il centrodestra che non accettava la scelta di procedere al riconteggio dopo la verifica dei verbali, e il centrosinistra che difendeva il comportamento assunto dalla maggioranza dei componenti l’organo di verifica poteri. Nel merito va detto, in verità, che il comportamento della Giunta non è apparso particolarmente in contrasto con i precedenti che, in verità, statisticamente si muovono molto più nella direzione della conferma di chi già c’è in Parlamento, piuttosto che consentire l’ingresso di chi è fuori. In questo caso la questione dev’essere apparsa abbastanza indolore: la ricorrente leghista era già membro della Camera, così come il deputato che si intendeva far decadere. Chi ne ha fatto le spese è il primo dei non eletti della lista bloccata leghista: estraneo al Parlamento. Il punto è un altro. Il giudizio dei “pari” che si effettua con la verifica dei poteri discende da nobilissimi principi che hanno al centro il concetto dell’autonomia del Parlamento, messa al riparo da ingerenze di altri poteri. Ma, forse, quel giudizio presuppone una capacità di scelta totalmente impermeabile rispetto alle istanze della politica. Possiamo dire, in coscienza, che oggi quelle istanze riescano a restare sempre fuori dalla porta delle Giunte? A volte basta poco, un tubo che si rompe in una toilette ricavata in chissà quale sottoscala, a farci venire il dubbio.