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Caso Saab. Primo ok per l’estradizione del presunto prestanome di Maduro

Nuovo capitolo nella vicenda di Alex Saab, imprenditore colombiano, presunto prestanome di Nicolás Maduro, con pied à terre romano a Via Condotti. Il governo di Capo Verde ha deciso di accettare l’estradizione presentata dagli Stati Uniti.

Le autorità hanno accolto la richiesta di Washington in conformità a un parere favorevole della Procura generale capoverdiana. Ma il caso non è ancora chiuso del tutto: resta da aspettare la decisione della Corte d’appello di Barlavento, nell’isola settentrionale di San Vicente, da quanto ha spiegato all’agenzia Efe l’avvocato difensore José Manuel Pinto Monteiro. La difesa ha fino a giovedì per presentare un nuovo ricorso e ricorrere al Tribunale supremo di giustizia e alla Corte costituzionale.

Saab è stato arrestato il 12 giugno quando il suo aereo privato faceva una sosta tecnica all’aeroporto internazionale Amilcar Cabral dell’isola Sal. Il fermo è avvenuto in seguito ad un ordine di arresto internazionale dell’Interpol emesso dagli Usa per presunti reati di riciclaggio, frode e corruzione.

Dopo l’arresto, il regime di Maduro ha dichiarato che Saab è un cittadino venezuelano e un rappresentante del governo, che si trovava a Capo Verde in transito per rientrare al Paese, per cui avrebbe diritto all’immunità.

In un articolo pubblicato dal The New York Times intitolato “Caso Alex Saab: il giornalismo ha fatto il proprio lavoro; è l’ora della giustizia”, gli autori Ewald Scharfenberg e Roberto Deniz, giornalisti di inchiesta impegnati da anni ad indagare sugli affari di Saab, sostengono che l’arresto dell’imprenditore colombiano, e personaggio chiave del regime venezuelano, è un duro colpo contro Maduro, e dà speranza per il Venezuela.

“Sebbene Saab fosse conosciuto dalle agenzie tributarie e dall’intelligence del Paese, era sempre riuscito a fuggire dallo sguardo pubblico -scrivono Scharfenberg e Deniz, ora in esilio perché minacciati dal regime di Maduro -. Fino al 2015, quando i reportage che abbiamo pubblicato sul sito Armando.info hanno cominciato a seguire i movimenti di Saab e l’ampia rete di soci, collaboratori ed imprese offshore”.

Nulla di questo si sarebbe saputo se non fosse per il lavoro giornalistico: “In un Paese con le istituzioni democratiche smantellate – proseguono gli autori – e un sistema giudiziario che è un appendice del potere politico, sopravvive soltanto una stampa indipendente, l’unica alternativa per la cittadinanza, sempre più sottomessa alla censura e al controllo statale”.

L’articolo del NYT sottolinea però che ci sono ancora rischi: “Le risorse economiche di Saab e i suoi seguaci sono capacità di mobilitare e fare pressione insieme ad alleati internazionali del regime di Maduro – come Cuba, Russia e Cina -, fanno temere posizioni a favore delle corti di giustizia locali e la possibilità di fuga”.

Gli occhi del mondo guardano con attenzione Capo Verde. Come giornalisti abbiamo indagato e abbiamo pubblicato l’informazione, importante per la realtà dei venezuelani, è ora che la giustizia faccia la propria parte”, concludono Scharfenberg e Deniz.

Al team di avvocati che difendono Saab si è aggiunto il famoso giurista spagnolo Baltasar Garzón. La strategia ora sarebbe quella di denunciare gli Stati Uniti e Capo Verde alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia per aver violato l’immunità di Saab concessa dal governo venezuelano. Sarebbe anche stata presentata una richiesta, secondo i media locali, di risarcimento per danni all’immagine di circa 12 milioni di dollari.

Sono molte le cause politiche in cui si è impegnato a livello internazionale Garzón e ha abbracciato diverse cause finite al centro di dibattito politico internazionale. A dicembre del 2019 ha fatto parte della squadra di legali che ha assistito l’ex presidente della Bolivia, Evo Morales. È stato anche coordinatore della difesa del fondatore di Wikileaks, Julian Assange e nel 1988, quando era magistrato della Audiencia Nacional spagnola, Garzón emise un ordine di arresto nei confronti di Augusto Pinochet, quando l’ex dittatore era ricoverato a Londra per cure mediche. È stato deputato per il Partito socialista operaio spagnolo (Psoe) e nominato delegato del governo per il piano nazionale sulle droghe.

L’ultima sfida di Garzón: difendere il presunto tesoriere e uomo dei conti del regime venezuelano.

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