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Silvio è tornato, detta legge e fissa (anche) il Quirinale. Il diario di Colombo

Berlusconi? Deve aiutarci, più che a far sopravvivere, a farci restare in Europa e nel consesso dei Paesi che contano, dicono in un fiato dal Pd. Il Cavaliere? Non è poi così male, non era neppure colpevole di frode fiscale, sussurrano – sperando di non farsi troppo sentire – i 5Stelle ‘governisti’. Cosa vuole davvero, da me, Berlusconi, per assicurarmi che resterò al mio posto? – si chiede, cogitabondo, Conte. “Silvio senatore a vita! Ora gli venga restituito l’onore perduto!” urlano a squarciagola i suoi e tutto il centrodestra.

IL TAM TAM DI TELEFONATE

Silvio come back, Silvio è tornato!”, questo è certo. Innanzitutto, è tornato l’elisir di eterna giovinezza. Nonostante la classe reciti quella del 1936 e le primavere siano 83, gli anni sono tornati a essere più che ben portati: i continui check-up al San Raffaele hanno dato i loro frutti. Il Silvio stanco, sudato, sfibrato, degli ultimi anni ai comizi, quando inciampava, o sveniva, è solo un brutto ricordo.

L’esilio dorato – in Costa Azzurra – durante il lockdown, proprio a casa di Marina (una dei 5 figli: lei e Piersilvio dal primo matrimonio, altri 3 dal secondo con Veronica Lario), lo ha ritemprato. Lunghe videocall su Skype, Zoom, etc., di nuovo con la voglia di parlare di politica con i suoi ‘amici’ di sempre e con i suoi colonnelli. Telefonate che partivano all’indirizzo, più che dei leader del centrodestra, di Conte, Speranza, Zingaretti, Renzi, fino a (così si dice) Di Maio.

Lucido, scattante, divertente, tornato col gusto della battuta pronta, ma anche dell’ora ‘più buia’ scattata per il Paese, Berlusconi si è così rimesso al centro della scena politica.

E SILVIO SI SCHIERÒ CON GIANNI

Il ‘solito’ Gianni Letta, il Gran Visir di Silvio, sulle cui spalle venivano caricate tutte queste telefonate e contatti, fino all’altro ieri, si è visto ridurre il lavoro e l’impegno, restandone, ovviamente, favorevolmente compiaciuto. Invece di chiudersi in una torre d’avorio, come poteva, invece di limitarsi ad abbaiare alla luna e contro il governo, come ha fatto Salvini, invece di stracciarsi le vesti contro la Ue, come ha fatto la Meloni, Berlusconi è intervenuto per blandire, assicurare e rassicurare ‘i comunisti’ al governo.

Ha offerto collaborazione, ha espresso solidarietà, ha incitato il premier e i suoi ministri (particolarmente ‘tenero’ e affettuoso è stato con il ministro della Salute, Speranza: “È così giovane, e così pacato, mica sembra comunista” ha detto ai suoi) a proseguire nella difficile azione intrapresa per contenere il coronavirus. Silvio – formato ‘patriota’ – si è messo al servizio del suo Paese, senza stare a guardare se il governo non era il suo, la gloria non era la sua, etc. L’uomo ‘del fare’, l’imprenditore nato, il ‘ghe pensi mi’, di fronte alla prova drammatica che attendeva il Paese, ha dato il meglio di sé. Tutti gli avversari – almeno nel fronte dem, in quello dell’M5s meno – da Zingaretti a Renzi, da Bersani a Prodi, D’Alema, Veltroni, etc., glielo hanno riconosciuto.

APPETITI AZZURRI

I suoi parlamentari (95 deputati e 60 senatori) farebbero comodo e gola a qualsiasi governo, figurarsi al Conte bis, con i chiari di luna dei grillini che non sai mai se ti fanno saltare un giorno sul Mes, il giorno dopo ancora su Autostrade, un giorno dopo ancora, magari, sulla manovra.

Ma anche un governo istituzionale, se mai nascerà, è solo perché Berlusconi deciderà di farlo nascere. Senza i voti di Forza Italia non passa il Mes, ma non passa neppure lo scostamento di bilancio su ogni manovra economica, ordinaria o straordinaria, che bisogna varare (serve la maggioranza assoluta dei componenti dell’Aula).

Senza i voti di FI non passa la riforma della legge elettorale. Berlusconi, può fare di tutto, ma le ‘mani’ fondamentali che può giocare sono, di fatto, cinque: ottenere che nasca un Conte ter ‘con’ la presenza di ministri azzurri e con i voti di FI che, entrata in maggioranza, sono decisivi; spingere per un rimpasto del Conte bis, cui fornire, magari, qualche ministro ‘tecnico’ o di ‘area’, soltanto suggerito, ma condizionare la linea e l’azione di governo a suo favore; far da levatrice a un governo istituzionale con ‘tutti dentro’ e lui, e FI, ben piazzata al centro della scena politica; o, persino, scendere a patti con Salvini e Meloni per andare alle urne anticipate, ma garantendosi posti a gogò ai suoi.

LA POSTA IN GIOCO. POLTRONE? NO, MEDIASET

Anche dal punto di vista delle risposte, e non solo delle domande, il Cav ha solo l’imbarazzo della scelta. Può chiedere – a Conte, al Pd e ai M5s – posti da ministro, viceministro e sottosegretari. Ma perché creare un’altra, infida, generazione di ‘cori ingrati’ che poi ti deludono e ti pugnalano alla schiena come già fatto da Alfano, etc. etc.? Molto meglio chiedere, a questo governo o a uno nuovo, favori per sé e per le proprie aziende, quelle di famiglia.

Succede, infatti, che sia la commissione di Vigilanza sulla Rai che, persino, l’Agcom abbiano aperto una procedura di ‘infrazione’ verso la Rai colpevole, durante il lockdown, di dumping, cioè aver praticato sconti anche del 90% e oltre, agli inserzionisti pubblicitari, pur di farli rimanere con sé.

Il risultato è stato quello di aver ‘drogato’ il mercato: introiti praticamente azzerati per la carta stampata, ma anche tv private (Mediaset e La 7) finite subito in grande difficoltà. E guarda caso, il premier Conte, che punta solo a durare, sta pensando, d’intesa con il criticatissimo (dal Pd) ad della Rai, Fabrizio Salini, a mettere d’accordo tutti: alla Rai il governo lascerebbe una porzione maggiore di canone tv (150-200 milioni in più) ma in cambio della rinuncia di una quota di pubblicità con cui si finanzia vendendola, come abbiamo visto, a prezzi stracciati, danneggiando Cairo e, anche, i figli di Berlusconi che oggi gestiscono Mediaset. Insomma, per il Cav uno ‘sconto’ sulla torta della pubblicità alle sue aziende vale ben di più di due ministeri.

IN FONDO, IL COLLE

Tanto, la partita vera, quella dove il Cav vuole contare è quella del Colle nel 2022: sia perché vuole contribuire lui, a differenza della scorsa volta, ad eleggere il nuovo Capo dello Stato sia perché il prossimo inquilino del Colle (e non di certo quello attuale…) potrebbe farlo ‘senatore a vita’. Così si sgolano e chiedono a gran voce tutti i suoi pasdaran per sanare finalmente la ‘ferita’ e l’umiliazione della ‘cacciata’, tecnicamente fu detta ‘decadenza’, dallo scranno di senatore, causata nel 2015 dalla legge Severino. E, per chiudere in bellezza e passare alla Storia cosa c’è di meglio, per il Cavaliere, che avere un suo busto d’onore a palazzo Madama, tra i Padri della Patria? E lui lavora, per la Storia.

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