Donald Trump evoca uno slittamento dell’Election Day del 3 novembre e avvia l’ennesima offensiva contro il voto per posta: è convinto che lo sfavorisca e sostiene che sia fonte di frodi. Il presidente, che nei sondaggi ha un ritardo in doppia cifra rispetto al suo rivale, Joe Biden, non era mai stato così netto nel prospettare un rinvio delle elezioni: “Con il voto per posta – scrive –, le elezioni 2020 sarebbero le più inaccurate e fraudolente della storia. Sarebbe un grande imbarazzo per gli Usa. Ritardare il giorno delle elezioni fino a quando la gente potrà votare in modo appropriato e sicuro?”.
Il tweet suscita immediate reazioni negative, fra i progressisti, ma anche fra i conservatori. C’è chi fa subito notare che la data delle elezioni non è una prerogativa del presidente ma del Congresso e che le modalità del voto sono competenza degli Stati.
Persino un fedelissimo repubblicano, Mitch McConnell, capogruppo della maggioranza al Senato, l’uomo che pilotò l’assoluzione del magnate dall’impeachment per il Kievgate, si mette di traverso: “La data delle elezioni è scolpita nella pietra”. Mugugni vengono dai repubblicani nel Congresso: Ted Cruz, Lindsey Graham, Marco Rubio, tutti senatori ‘pro Trump’, respingono l’ipotesi; come fa Kevin McCarthy, deputato della California. E Steven Calabresi, co-fondatore di Federalist Society, un’influente organizzazione conservatrice, si dice sconvolto da un tweet “fascista” per il quale il presidente merita un “nuovo impeachment e la sua rimozione”.
Trump, a questo punto, fa un passo indietro e twitta in retromarcia: “Sono lieto di essere finalmente riuscito a fare parlare i media dei rischi alla nostra democrazia con il voto per posta. I risultati devono essere noti la notte dell’Election Day, non giorni, mesi o anni dopo. Vinceremo le elezioni 2020”. E poi: “Non voglio attendere settimane per avere i risultati…, potremmo non sapere mai chi ha vinto. È buon senso, non è politica”. E ancora: “Voglio le elezioni, non voglio un ritardo dell’Election Day, voglio però il risultato. Tutti sanno che il voto per posta non funziona, saremmo ridicoli”.
Un allarme lanciato dai sindacati dei lavoratori delle Poste fa balenare l’idea che Trump stia manovrando per rendere più aleatorio il voto per posta: le novità introdotte dal nuovo responsabile del servizio postale, Louis DeJoy, un grande donatore dei repubblicani e del magnate, stanno causando ritardi di giorni nella consegna della posta.
Alcuni Stati hanno sperimentato, nella stagione delle primarie al tempo dell’epidemia, efficacia e validità del voto per posta su larga scala. Gli Stati Uniti sono già andati alle urne con l’incubo del contagio: nel 1918 le elezioni di midterm si svolsero durante la fase più acuta della spagnola – e, inoltre, in tempo di guerra.
A più riprese, nei giorni scorsi, Trump ha ventilato la possibilità di non accettare l’esito del voto, temendo una sconfitta, veicolata dal voto per posta. “Non mi piace perdere”, ha detto in un’intervista televisiva. Il timore sottinteso è che il nucleo degli elettori di Trump, rednecks, suprematisti, fondamentalisti, anti-governo, non siano mentalmente organizzati per votare per posta, mentre la base democratica di Biden saprebbe utilizzare meglio lo strumento.
La sortita di Trump arriva alla confluenza di notizie negative per la sua candidatura. Il superamento, mercoledì, di quota 150.000 vittime del coronavirus negli Stati Uniti, un quarto dei morti mondiali: fra i decessi di ieri, quello di Herman Cain, un re della pizza di 74 anni, che nel 2012 s’era candidato alla nomination repubblicana e che il 20 giugno era senza mascherina al comizio di Trump a Tulsa.
Secondo i dati della Johns Hopkins University, i contagi giovedì sono stati oltre 72.000 e i decessi 1.379. Complessivamente, alla mezzanotte sulla East Coast, i contagi erano 4.495.000 e i decessi oltre 152.000.
E poi ci sono i dati di ieri sul crollo del Pil nel secondo trimestre: una caduta del 32,9% che fa aprire in rosso Wall Street e induce la Fed a mantenere il tasso di interesse tra lo 0 e lo 0,25%. Il risultato del Pil è il peggiore da quando nel 1947 se ne tengono le statistiche. L’unico paragone possibile è quello con la Grande Depressione degli Anni Trenta dopo il Lunedì Nero di Wall Street nel 1929.
Il binomio epidemia-economia suona lugubre presagio per le prospettive elettorali del magnate, che, con il suo tweet, mette le mani avanti, avallando così le accuse dei democratici d’essere “un pericolo per la democrazia” e d’essere incline a derive autoritarie. Il suo predecessore Barack Obama, durante una raccolta di fondi a favore di Biden con l’attore e attivista George Clooney, dice che Trump “sfrutta le paure e la rabbia della gente e cerca di incanalarle in maniera nativista, razzista e sessista”.
A chi gli chiedeva che cosa non lo faccia dormire di notte, Obama, che ancora non sapeva del tweet di Trump, rispondeva: “Temo che Trump faccia di tutto per escludere dalle urne il maggior numero di elettori e che si prepari a contestare la legittimità delle elezioni”. Un rinvio lascerebbe senza parola tutti gli americani.