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Ursula? No Tripoli. Ecco la nuova maggioranza. Il diario di Colombo

Dopo tanto parlare e discettare di “maggioranza Ursula” (dal nome proprio della presidente della commissione Ue, Ursula von der Leyen, dovrebbe fare il suo esordio sul Mes ed essere composta da Pd+M5s+Iv+LeU+Forza Italia), ecco, invece, debuttare, ieri al Senato e presto alla Camera, la “maggioranza Tripoli” sul rifinanziamento della missione militare italiana in Libia.

Una curiosa maggioranza così composta: Pd (tranne i Giovani Turchi) + M5s (tranne alcuni dissidenti e tranne alcuni ex M5s oggi nel Misto) + Italia Viva (almeno al Senato, ma alla Camera sarà diverso) + l’intero blocco di centrodestra (Lega+FdI+Forza Italia). All’opposizione un pezzo di Pd (3 Giovani turchi più un caso di coscienza, Nannicini), tutta LeU (sei), un pezzo di ex M5s nel gruppo Misto (3), quelli di +Europa (due) cui si sono aggiunti, per sovrannumero, altri due astenuti.

LA MAGGIORANZA TRIPOLI AL SENATO…

È la maggioranza ‘Tripoli’ che ieri ha, di fatto, ‘salvato’ il governo: infatti, se non ci fossero state una serie di larghe assenze nella fila dell’opposizione e se questa avesse votato contro il rifinanziamento della missione militare in Libia, la somma dei voti contrari (14: tra i contrari ci sono tutti e sei i senatori di Leu, tre del Pd – D’Arienzo, Valente e Verducci – Mantero dell’M5S, De Bonis, De Falco e Martelli, ex M5s oggi nel Misto, due di +Europa: Bonino e Martelli) interni ai partiti di governo e quella delle opposizioni (158) avrebbero mandato ‘sotto’ il governo, che di voti, sulla mozione, ne ha racimolati 142 e che, appunto, si è ‘salvato’ grazie ai 118 voti di opposizione facendo finire la votazione con 260 voti favorevoli, 14 contrari e due astenuti su 276 votanti (molte le assenze).

…E ALLA CAMERA

Stessa, identica, scena andrà presto in onda alla Camera, ma la frangia dei dissidenti si allargherà perché un pezzo di Iv, capitanato da Gennaro Migliore, più la pattuglia di Giovani Turchi (che alla Camera sono molti di più, circa 10), più l’intero gruppo di LeU (14) e diversi deputati 5Stelle sparsi nel M5s come ex nel Misto, intendono opporre il loro ‘no’. Ergo, pure alla Camera, servirà ‘l’aiutino’ del centrodestra.

UNA AD UNA, LE MISSIONI

La ‘maggioranza Tripoli’ la chiamiamo così perché ieri, al Senato, è andata in scena, e per la prima volta, su un tema che, di solito, appassiona poco i grandi media, ma che è di vitale importanza per l’assetto geostrategico dell’Italia. Infatti, come ogni anno, a metà luglio arriva in Parlamento il decreto di rifinanziamento delle missioni militari all’estero per l’anno 2020, decreto deliberato nel cdm dello scorso 21 maggio. Missioni che, pur nel silenzio generale, sono parecchie e tutte molto importanti: alcune sono storiche, altre nuove (cinque, tra cui Sahel, nell’ambito della task force multinazionale ‘Takuba’, a guida francese; golfo di Guinea, contro la pirateria; e EUNAVFORMED-Irini, la missione che, sotto forma di forza navale, sostituisce la missione Sophia della Ue per l’embargo delle armi in arrivo in Libia, causa conflitto in corso): il totale di esborso è di 47,4 milioni di euro di oneri per lo Stato. E così, tra vecchi e nuovi impegni, si raggiunge il numero di 41 missioni, che ‘muovono’ 8.613 militari italiani. Il costo complessivo per il 2020 sarà di circa 1.160 milioni di euro, superiore ai complessivi 1.130 milioni del 2019. Il ‘guaio’ è che, all’interno del rifinanziamento delle missioni militari all’estero, c’è anche l’addestramento, il sostegno e il finanziamento della guardia costiera libica che, ad oggi, dipende dal governo legittimo di Tripoli di Al Serraj.

IL TRUCCO

Il ‘barbatrucco’ dei dissidenti, per evitare di votare ‘no’ all’intero pacchetto delle missioni militari all’estero, è il famigerato voto ‘per parti separate’. Il regolamento delle Camere lo consente, perché c’è un precedente creato dall’esponente di SI, ed oggi presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Regeni, Erasmo Palazzotto, proprio nel voto di un anno fa sullo stesso tema, le missioni militari all’estero. E così è sul ‘comma 22’ (proprio come quello del noto romanzo di Heller) del dispositivo delle missioni, quello che riguarda la Libia, che scoppia il muro contro muro, al Senato, e che una pattuglia di dissidenti sparsi vota contro.

È dunque su tale punto che, in Parlamento, si è scatenato l’inferno, oltre che il dissenso. Prima in commissione Esteri del Senato, lo scorso I luglio, poi in quella della Camera (commissioni riunite sempre insieme a quella della Difesa), ieri, dove diversi esponenti del Pd (Verducci al Senato, Boldrini alla Camera) ma anche di Italia Viva (Migliore), oltre che l’intera pattuglia di LeU, hanno fatto sapere, al governo, che di votare la missione in Libia loro proprio non se la sentivano perché, hanno detto nei loro interventi, rifinanziare la missione militare italiana in Libia, che aiuta e sostiene la Guardia costiera libica nel pattugliamento del mare Mediterraneo, vuol dire “finanziare gli assassini”. La tesi è che la Guardia costiera libica agisce ‘in combutta’ con gli scafisti e il loro “odioso traffico di esseri umani”.

LA MEDIAZIONE (INUTILE)

Certo, va anche detto che la maggioranza ha cercato, fino all’ultimo, una mediazione con i suoi dissidenti interni. Una mediazione che si è trasformata un ordine del giorno a prima firma Italia Viva, e sostenuta dai partiti di maggioranza, che impegna il governo a una “rapida conclusione delle procedure di modifica del Memorandum” (quello italo-libico) e “a rafforzare, nei programmi di formazione del personale della Guardia costiera della Marina militare libica, la componente relativa al rispetto del diritto internazionale del mare e dei diritti umani”. “Acqua fresca” è stata la risposta dei dem critici a palazzo Madama. “La scelta di continuare a finanziare la Guardia costiera libica fa male alla reputazione e all’autorevolezza dell’Italia. Il rispetto dei diritti umani è parte dirimente del nostro interesse nazionale”, ribatte a chiare lettere Francesco Verducci, annunciando il suo voto contrario in Assemblea.

LA COPERTA CORTA DELLA MAGGIORANZA

Morale, sintetizzando, dal punto di vista politico, il voto nell’aula del Senato di ieri sera, succede che alla maggioranza di governo, che già ‘balla’ di suo (le forze di maggioranza non raggiungono mai, nelle votazioni, la maggioranza assoluta di 160, magic number che indica il quorum del plenum del Senato, oggi fissato a 319 membri) manca ‘un pezzo’ importante sparso tra Pd, LeU, Misto, etc e che, a soccorrerlo, arriva l’intero centrodestra compatto. Senza, per la maggioranza, che pure ha vinto la sfida, ‘sul filo’ (sommando i 14 contrari, i 2 astenuti e i 118 voti delle opposizioni presenti si arrivava a 134 voti contro i 142 voti della maggioranza di governo, che dunque avrebbe ‘vinto’), sarebbero e saranno dolori, sulle missioni come su altro.

Infatti, prima ancora che, nelle aule delle Camere, arrivi il voto sullo scostamento di bilancio, o sul recepimento del Mes, due voti che obbligano a ottenere la maggioranza assoluta, il governo, al Senato, ‘non ha (più) i numeri’.

IL J’ACCUSE DI ORFINI

Ovviamente, subito dopo il voto, ecco le ‘rivendicazioni’ del medesimo. Il centrodestra punta il dito contro una “maggioranza divisa, che non ha i numeri, e che solo noi abbiamo salvato” (vero, ma in parte: grosse fette dei senatori seduti negli scranni del centrodestra mancavano), Italia Viva rivendica di “essere stata decisiva, nel voto” (vero, ma in parte: alla Camera una parte di loro si appresta a votare, appunto, un rotondo ‘no’ alla missione in Libia, come ha già annunciato di voler fare Gennaro Migliore). LeU rivendica il suo ‘no’ e punta il dito su un voto “sbagliato”, da parte della maggioranza, pronto a ripeterlo, alla Camera, come dice a chiare lettere Nicola Fratoianni. Matteo Orfini, leader dei Giovani Turchi nel Pd, punta il dito contro il suo partito, accusandolo di aver votato “con Salvini e compagni, una scelta ingiustificabile e sbagliata”, ma soprattutto ricorda che, “in Assemblea avevamo solennemente stabilito di fare il contrario. Avevamo deciso all’unanimità di non sostenere più chi ha torturato, stuprato, ucciso”.

Parole pesanti, un j’accuse vero e proprio in cui Orfini tira in ballo, nomi e cognomi, “Franceschini, Guerini, Zingaretti”, oltre che “Di Maio”. E, in effetti, a riguardare le decisioni prese dall’Assemblea nazionale del Pd lo scorso 23 febbraio si scopre che questa aveva sancito “lo stop a qualsiasi tipo di finanziamento e addestramento della guardia costiera libica” che, per il Pd, – come per LeU – è, né più che meno, “in combutta con gli scafisti e trafficanti di essere umani, bande di assassini”.

IL MONITO DEL PAPA

Giusto per non farsi mancare niente, un braccio di ferro parallelo e simultaneo a quello sulla Libia riguarda i ‘decreti Sicurezza’. Tra oggi e domani, ma stavolta a palazzo Chigi, la maggioranza dovrà prendere per le corna il tema del cambio, se non dell’abolizione, dei decreti targati Salvini: per il Pd è cosa fatta, ma i 5Stelle non ne vogliono sentir parlare e, per ora, hanno chiesto di rinviare il ‘papiello’ a settembre. Sempre Orfini – e altri pezzi dei dem – però non ci stanno, pronti a fare ‘casino’, sul tema.

La posizione dei dissidenti dem e di LeU, sulla Libia, inoltre, oggi, ha ricevuto una importante, incredibile e notevole ‘copertura’ anche da parte del pontifex maximus della Chiesa cattolica universale, papa Francesco I. Il quale dice: “della Libia e dei suoi lager ci danno solo la versione distillata”, ma “voi non immaginate l’inferno che si vive lì: la gente viene dal mare verso di noi con la speranza, ma dal mare è stata riportata in Libia, nei lager di detenzione”.

Alla Camera, come già al Senato, sulla Libia sarà guerra. Se il governo vuole avere la certezza di salvarsi dovrà affidarsi alla ‘maggioranza Tripoli’, cioè all’aiuto del centrodestra.



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