Donald Trump si arrende all’epidemia di coronavirus e rinuncia a una vera e propria convention repubblicana a fine agosto, quando voleva accettare la nomination a Jacksonville, in Florida, uno degli Stati più colpiti dalla recrudescenza dei contagi. “Non è il momento giusto”, ammette: Trump farà un discorso per accettare la nomination non a Jacksonville, “ma in una forma diversa”.
La resa del magnate all’epidemia giunge nel giorno in cui gli Usa registrano 76.570 nuovi casi e 1.225 vittime – cifre che confermano l’aumento dei contagi giornalieri e il ritorno ormai consolidato dei decessi sopra quota mille. Secondo i dati della Johns Hopkins University, il totale dei contagi nell’Unione ha superato i 4 milioni e, alla mezzanotte sulla East Coast, raggiungeva i 4.034.000, mentre il totale dei decessi superava i 144.000.
L’anomalia di questa campagna elettorale senza comizi, ma soprattutto la virulenza dell’epidemia e l’impatto sull’economia, lasciano un segno nei sondaggi in vista delle presidenziali del 3 novembre. La Fox News tasta il polso degli elettori in tre Stati in bilico, Pennsylvania, Michigan e Minnesota. Nei primi due, il magnate aveva battuto nel 2016 Hillary Clinton – due successi determinanti. Ora, il candidato democratico è avanti di 11 punti in Pennsylvania, con il 50% delle preferenze, e di nove in Michigan, con il 49%; nel Minnesota, Biden ha un vantaggio di 13 punti, con il 51%.
La convention repubblicana, prevista dal 24 al 27 agosto, era già stata divisa in due parti: la prima, come originariamente deciso, a Charlotte, North Carolina, in forma ridotta causa coronavirus; ma poi un gran finale a Jacksonville, in forma più o meno tradizionale. All’inizio della settimana, però, Trump aveva già annunciato che non farà più comizi dal vivo fino a che perdurerà l’emergenza passando ai comizi al telefono o online.
I democratici hanno già spostato da luglio ad agosto, dal 17 al 20, la convention in programma a Milwaukee, nel Wisconsin, e ne hanno ridimensionato il programma. Anche Joe Biden, dunque, accetterà la nomination senza parlare davanti alla platea dei delegati.
Ieri, Trump, che ha avuto una lunga telefonata con il presidente russo Vladimir Putin, ha mantenuto la pressione sulla Cina, affidando al segretario di Stato Mike Pompeo un affondo ‘ad personam’ contro il presidente Xi Jinping (“E’ ora che i cinesi cambino la leadership del Partito comunista”).
Stamane, la Cina ha ordinato la chiusura del consolato degli Usa a Chengdu, una forma di ritorsione per la chiusura del consolato della Cina a Houston, in Texas – si pensava che il consolato Usa chiuso sarebbe stato quello di Wuhan.
Intanto, lo spettro del contagio torna ad aleggiare nelle stanze e nei corridoi della Casa Bianca. Un addetto di una delle caffetterie del complesso è positivo al coronavirus. L’allarme è stato lanciato con una email inviata a tutto il personale. L’invito è di non cedere al panico: il rischio di trasmissione è molto basso e non serve l’auto quarantena, ma “restate a casa, se pensate di avere dei sintomi”.
La caffetteria in cui lavora il dipendente positivo non è quella del corpo centrale della Casa Bianca, ma sta nell’adiacente Eisenhower Executive Office Building. Per precauzione, è stata chiusa pure la caffetteria del New Executive Office Building.
Non è la prima volta che nella residenza presidenziale scatta l’allarme. A maggio uno dei ‘valletti’ del presidente fu trovato positivo, come pure Katie Miller, portavoce del vicepresidente Mike Pence e moglie del consigliere politico di Trump Stephen Miller. Questo mese, Pence ha dovuto rinunciare a una missione in Arizona dopo che alcuni agenti del Secret Service che dovevano viaggiare con lui sono risultati positivi. L’ultimo contagio vicino al presidente è stato quello di Kimberly Guilfoyle, ex commentatrice di Fox News, fidanzata con Donald Trump Junior.