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Strage di Bologna: quarant’anni di similitudine. La verità giudiziaria e i messaggi da Beirut raccontati da Caligiuri

Una sentenza definitiva della magistratura viene emanata “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Una di queste, il 23 novembre del 1995, ha individuato come esecutori della strage di Bologna del 2 agosto 1980 Giusva Fioravanti e Francesca Mambro. Gli interessati, esponenti dei Nuclei Armati Rivoluzionari, durante le fasi processuali si sono autoaccusati anche di omicidi per i quali non erano imputati ma hanno sempre negato ogni coinvolgimento nella vicenda del 1980.

Come per Piazza Fontana venne immediatamente ricercata la responsabilità anarchica, per la strage di Bologna venne subito imboccata la pista nera. All’inizio vennero coinvolti Stefano Delle Chiaie e Adriano Tilgher poi scagionati. Raccontarono la vicenda nel libro “Il meccanismo diabolico”.

Negli ultimi anni, si è discusso con sempre maggiore insistenza di una responsabilità palestinese. Per la verità quella che Francesco Cossiga, all’epoca dei fatti presidente del Consiglio, più volte, direttamente e indirettamente, aveva richiamato.

Questa ricostruzione ha ripreso vigore dal 2019 quando Giacomo Pacini, in un saggio contenuto nel volume da me curato “Aldo Moro e l’intelligence”, ha rivelato un documento inedito.

Si tratta di un messaggio di Stefano Giovannone, capo centro del Sismi a Beirut, in cui, il 12 maggio del 1980, evidenziava concrete minacce nei confronti del nostro Paese come possibile reazione all’arresto di esponenti palestinesi, tra cui Abu Anzeh Saleh, avvenuto nel novembre dell’anno precedente ad Ortona.

Assistiamo adesso a una visione bipolare: da un lato ci sono sentenze definitive e dall’altra una ricostruzione dei fatti che potrebbe condurre radicalmente da un’altra parte.

Quando le opinioni si equivalgono scompare la verità ci spiegava Hanna Arendt, la cui lettura è indispensabile per comprendere la società della disinformazione in cui siamo immersi.

Nel nostro Paese, in tanti fanno riferimento alle decisioni della magistratura quando confermano i rispettivi punti di vista. Avviene nel caso di Bologna ma non per la loggia P2, dichiarata un’organizzazione non eversiva, e la struttura di “Gladio”, rispondente alle alleanze internazionali del nostro Paese.

La lettura della storia per come emerge nei tribunali risponde a una indispensabile forma di giustizia ma non si può sempre identificare con quanto realmente accaduto.

È praticamente impossibile leggere le migliaia di pagine dei processi per farsi un giudizio. L’opinione pubblica, come sempre, si forma con i titoli di testa o, a volte, con i titoli di coda. Quello che c’è nel mezzo è inevitabilmente un continente sconosciuto, una terra incognita.

Anche su questa straziante vicenda, ricordata dal Capo dello Stato che tre giorni fa si è recato in raccoglimento alla stazione di Bologna, mi permetto di porre il problema.

Ancora sono aperte le ferite di quegli anni, non solo nell’accertamento di tanti episodi ma sopratutto nei meccanismi sociali di fondo che continuano ad ampliare le diseguaglianze.

Le Brigate Rosse, i cui componenti allora erano quasi tutti trentenni, nelle risoluzioni strategiche del 1977 parlavano di Stati Imperialisti delle Multinazionali. Oggi ci siamo arrivati.



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