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Perché l’aerospazio può essere un pilastro del Recovery Fund. Scrive Manzella

Di Gian Paolo Manzella
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Negli atti del governo che hanno stabilito i settori che potevano proseguire le loro attività durante l’emergenza Covid-19, l’aerospazio è stato sempre considerato strategico, le fabbriche aperte in condizioni di sicurezza e i lavoratori impegnati. Una scelta che ha accomunato i diversi Paesi europei, segno dell’attenzione a livello comunitario al settore. Certo, è un’attenzione legata alle esigenze della difesa e della sicurezza del Paese, ma insieme ad esse ci sono le caratteristiche di un settore sempre più centrale nella nostra vita, economica e sociale.

Vale 13,5 miliardi di euro di fatturato e 45 mila lavoratori diretti (che diventano 160 mila considerando l’indotto), con un contributo significativo all’export del Paese e, soprattutto, una struttura produttiva differenziata. Ci sono protagonisti internazionali come Leonardo, e un tessuto industriale diffuso con protagonisti a livello internazionale in produzioni specializzate: dalle viti a ricircolo di sfera della Umbra Group di Foligno, ai velivoli di addestramento della Tecnam di Capua, sino alla Altec di Torino, che fornisce servizi tecnici per la Stazione spaziale internazionale. Ma, soprattutto, parliamo di un settore qualificante, un ecosistema industriale su cui costruire un perno della nostra sovranità tecnologica, che vede uno stretto contatto tra industria, mondo universitario e della ricerca e che è sempre più abilitatore di processi di crescita in altri settori dell’economia, con rilevanti effetti moltiplicativi, come nel caso della Space economy.

Dimensione quantitativa, campioni nazionali, tessuto di piccole e medie imprese di qualità, profondi legami con il settore universitario e della ricerca. Queste caratteristiche fanno infatti dell’aerospazio una delle aree tecnologicamente avanzate su cui investire, un comparto che con le risorse del Recovery Fund può compiere un salto di qualità nel processo di modernizzazione e accompagnare la transizione italiana verso una produzione industriale tecnologicamente avanzata e sostenibile.

Un passaggio che va sviluppato attorno ad alcuni punti fermi. Il primo è l’individuazione di grandi progetti per lo sviluppo di sistemi aerospaziali, infrastrutture e tecnologie abilitanti. Dobbiamo stare con sempre maggiore convinzione in iniziative come Galileo o Copernicus; promuovere programmi negli ambiti in cui abbiamo interesse strategico; monitorare quel che accade a Bruxelles, in un settore che la Commissione europea segue da qualche anno con sempre maggiore attenzione per assicurare un adeguato posizionamento nelle iniziative di cooperazione europea in via di definizione, come quelle nei velivoli e nei sistemi di difesa di nuova generazione.

Il secondo è l’investimento nella capacità dei nostri centri di ricerca in questo settore e, in parallelo, la massimizzazione dello scambio con l’industria, come nell’Aerotech Campus aperto da Leonardo a Pomigliano. Una questione che ha nell’aerospazio una specifica e concreta declinazione, quando il successo di molte realtà industriali è direttamente legato alla forza e alla qualità delle nostre “scuole” universitarie.

Il terzo, in parallelo a quanto stanno facendo altri Paesi, è la promozione di nuove forme di collaborazione tra finanza privata e risorse pubbliche. Per questo vanno colte tutte le opportunità europee che ci sono e, d’altra parte, creati strumenti finanziari specializzati: per sostenere la ristrutturazione delle imprese del settore e accompagnare i processi di trasformazione e di innovazione necessari in questa fase; per promuovere start up e imprenditorialità emergente, in linea con il Fondo Primo Space, appena promosso dal Fondo Nazionale Innovazione e dal Fondo europeo per gli investimenti.

Sono tre linee di attività su cui il Mise ha già cominciato un lavoro insieme ad attori dell’industria e dando grande attenzione ai dodici distretti territoriali dell’aerospazio attualmente esistenti. Un’attività avviata con l’intervento normativo nel Decreto Rilancio per favorire la liquidità e accelerare i pagamenti alle imprese del settore. Al centro c’è l’intervento sulla legge n. 808/85, per modernizzare un impianto normativo che da 35 anni è perno dell’impegno finanziario pubblico per il settore aeronautico e, in parte almeno, quello spaziale. Un lavoro che ha l’obiettivo di semplificare l’attuazione di questa normativa di incentivazione e di adeguarla alla trasformazione vissuta dall’aerospazio negli anni più recenti. In parallelo, anche su richiesta dei partecipanti ai lavori, è emersa l’esigenza della definizione di un nuovo “Piano di Settore”, che, come fecero quelli degli anni 90 e come avviene in ordinamenti di altri Paesi, indirizzi in maniera organica le future scelte di policy. Un lavoro che proseguirà con la definizione di un programma di sostegno condiviso con gli attori nazionali e allineato con il quadro europeo.

In questo impegno dei prossimi mesi, dobbiamo essere consapevoli che l’aerospazio italiano ha visto, nei suoi passaggi migliori, una collaborazione stretta tra pubblico e privato. Quella, ad esempio, che portò al progetto San Marco, sotto impulso diretto di Amintore Fanfani e Luigi Broglio, il cui lascito indiretto più emblematico è forse il successo di un vettore come Vega, realizzato da Avio, tra i migliori produttori di lanciatori del mondo. O l’esperienza della cosiddetta “grande Finmeccanica” di Fabiano Fabiani, con la scommessa sulla produzione di elicotteri a cui ancora dobbiamo, decenni dopo, una leadership anche qui mondiale. O il lascito della Selenia, che oggi ci pone sulla “cresta dell’onda” nelle tecnologie radar satellitari, con realtà come Thales Alenia Space.

È precisamente questo lo spirito di collaborazione e fiducia tra pubblico e privato che dobbiamo replicare in questo passaggio storico cruciale per il domani italiano. Aver evidenziato la strategicità dell’aerospazio è un primo passo. Ora sta a noi compiere gli altri, per migliorare la competitività del settore e non perdere terreno con i nostri principali concorrenti. Con la consapevolezza che quella del Recovery Fund è un’occasione irripetibile per dare all’industria aerospaziale nazionale il peso e l’assetto che merita.

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