Magistrato anticamorra, alla Dda di Napoli si è occupato delle indagini sul clan dei casalesi e della terra dei fuochi. Al massimario della Cassazione fino al 2014, anno in cui è stato nominato alla guida dell’Anac. Nel luglio 2019 le annunciate dimissioni e il ritorno in Cassazione, a distanza di un anno la nomina del Csm guida della delicatissima procura di Perugia.
Con il consenso dell’attuale procuratore di Perugia Raffaele Cantone, Formiche.net pubblica l’intervista integrale e in parte inedita dello scorso 19 settembre, rilasciata a Varenna nel corso del 65^convegno di studi amministrativi alla presenza del gotha della magistratura amministrativa e contabile e della presidente della Corte costituzionale. In quella sede l’allora Presidente Cantone, tracciava anche l’identikit del suo successore.
Come vede il futuro presidente dell’Anac?
Non spetta a me fare l’identikit. Spero solo che ci sia l’idea di continuare nell’intuizione, particolarmente felice, dell’allora ministro Patroni Griffi che elaborò la parte della legge 190 dedicata alla prevenzione della corruzione, anche se poi il provvedimento prese il nome del ministro Severino. La Commissione di studio, istituita dal ministro Patroni Griffi, che propose gran parte della riforma era presieduta dall’allora consigliere Roberto Garofoli, capo di gabinetto del ministro della Funzione Pubblica (oggi presidente di Sezione in Consiglio di Stato, ndr), non ancora particolarmente famoso, ma particolarmente bravo. Dalla Commissione – di cui facevano parte anche il prof .Mattarella, il prof. Merloni (poi consigliere dell’Anac con me), il prof. Spangher, il magistrato della Corte dei conti Granelli ed io – era uscita una norma scritta meglio rispetto alla versione definitiva varata dal Parlamento, che ha una serie di criticità, ma ha il merito indiscusso di aver introdotto un’intuizione importante per il Paese, cioè che la corruzione non si può affrontare solo con le manette. Serve mettere in campo anche rimedi amministrativi. Il mio identikit del nuovo presidente è di una persona che abbia esperienza nel campo e soprattutto creda che si debba continuare sulla strada della prevenzione che ha dato risultati, soprattutto sul piano internazionale.
Osannato o criticato, lei è un personaggio che ha sempre suscitato sentimenti contrastanti. Di cieca fiducia come quella dei risparmiatori in Veneto che invocavano il suo intervento, o di insofferenza come quella di alcuni suoi colleghi che hanno tacciato l’Anac di andare oltre il proprio ambito di competenze. Quale è il bilancio di questi 5 anni?
È difficile fare bilanci senza rischiare di essere autoreferenziali. In questi 5 anni, non c’è stato solo il mio lavoro. Il consiglio dell’Anac ha sempre lavorato con grande collegialità e all’unanimità. Il risultato è che abbiamo messo in campo una politica di prevenzione della corruzione che ha avuto una sua efficacia, come ci viene riconosciuto anche a livello internazionale, in particolare Osce, Ocse, Onu e Consiglio d’Europa, solo per citare i principali. Nei Paesi europei e non solo, si parla di modello italiano e questo credo sia un risultato oggettivo. Poi, sicuramente, ci sono state molte critiche alcune delle quali giustificate, perché, in alcuni momenti, ci sono stati oggettivamente attribuiti poteri spuri come per gli arbitrati.
Tra le critiche molte vi sono arrivate dalla magistratura e in particolare dalla procura di Milano.
Molte critiche ci arrivano ancora oggi. Stamattina (19 settembre 2019, ndr) leggevo su un sito abbastanza importante che fra i problemi del Paese c’era l’istituzione dell’Anac, vista non come un’opportunità ma come un problema, secondo la solita idea – che io contesto – che l’Autorità abbia avuto un effetto di burocratizzazione del sistema amministrativo. Dal punto di vista della magistratura credo che l’idea di un’autorità amministrativa che potesse occuparsi di corruzione fosse un po’ in contrasto con la concezione tradizionale che vede la corruzione come un terreno di assoluta pertinenza della magistratura, soprattutto inquirente. Quando si è cominciata ad attuare la politica di prevenzione della corruzione, questo ha ingenerato qualche critica da una parte del mondo giudiziario, ma complessivamente le reazioni sono state molto positive. Abbiamo fatto convenzioni con quasi tutte le procure del Paese per lo scambio informativo di atti e documenti, e abbiamo sviluppato rapporti di collaborazione particolarmente intensi, in vari casi anche mettendo a disposizione di varie inchieste il nostro know how, soprattutto in materia di appalti pubblici. In definitiva credo che non quello proveniente dal mondo giudiziario sia stato il minore degli attacchi ricevuti.
Sul sito c’è un’apposita sezione “Ambiti di cui l’autorità anticorruzione non si occupa”. Vi sarà arrivato di tutto! Si ricorda qualche caso particolare?
In effetti ci sono arrivate le lamentele più incredibili. Per un certo periodo siamo diventati la buca delle lettere del Paese. In percentuale, la cosa che mi ha meravigliato di più è il numero di esposti che riguardavano attività giudiziarie, soprattutto della magistratura ordinaria. Un numero incredibile di provvedimenti su cui nulla potevamo fare se non trasmetterli alle Procure. Non avrei mai immaginato tante e tali segnalazioni. Ci si lamentava dai problemi di vicinato, alle cose più strane.
Mi dica solo se è vero. Una prefettura si è rivolta all’Anac per chiedere come andavano aperte le buste?
Sì, purtroppo, è vero. In materia di appalti ne abbiamo viste di tutti i colori.
E cosa gli avete risposto?
Che lo prevede il codice, come si aprono le buste! La cosa incredibile è che ci veniva richiesto da una prefettura, non da una qualsiasi stazione appaltante. Il tema degli appalti è quello oggettivamente più problematico, perché questo meccanismo della fuga o paura della firma, di cui tanto si parla, è un meccanismo reale, ma spesso anche un comodo alibi per non assumersi responsabilità. Alcune amministrazioni hanno provato ad avere da noi la copertura prima di assumere decisioni. E, qualche volta abbiamo anche sospettato, poi ne abbiamo avuto riscontro, che provavano a richiedere a noi il via libera per fare cose poco chiare e non del tutto regolari. Tant’è che abbiamo regolato in modo molto preciso i casi nei quali possiamo rilasciare pareri in materia e questo proprio nella logica di non essere scambiati per organo di consulenza, essendo, invece, organo di vigilanza sulle materie di nostra competenza.
L’Anac nel periodo 2014-2018 ha avviato ben 1.393 procedimenti nei confronti delle amministrazioni non in regola con le pubblicazioni previste dal Codice della Trasparenza (dal decreto legislativo 33/2013) ma solo 143 procedimenti (il 10%) si sono conclusi con una vostra sanzione. Come si legge questo dato?
Ormai il 99% delle amministrazioni italiane si è dotata di una pagina web dedicata alla sezione “amministrazione trasparente”. Lo abbiamo riscontrato dai nostri controlli. Le amministrazioni inadempienti sono poche, e i casi sono limitati a specifiche voci: le amministrazioni non solo si sono dotate della sezione ma la implementano sistematicamente, a dimostrazione che non è vero affatto che noi abbiamo una scarsa cultura della trasparenza. O quantomeno, non è vero che c’è un disinteresse assoluto alla trasparenza. E adesso, per esempio, i siti li cominciano, perfino, a utilizzare le forze di Polizia nelle indagini. È molto più comodo, infatti, piuttosto che andare in un Comune a prendere gli atti, scaricare dal sito tutta la procedura di una gara. Ecco, io credo che, in materia di trasparenza il nostro Paese in cinque anni, abbia fatto veramente un miracolo. Certo, non siamo la Svezia, però abbiamo sicuramente fatto dei passi in avanti clamorosi. Dai dati emerge che nel 90% dei casi in cui viene avviata un’attività di vigilanza, le amministrazioni si adeguano. Si trattava, ovviamente, di un problema di “alfabetizzazione” digitale all’interno delle amministrazioni. Noi abbiamo chiesto alle amministrazioni, da un giorno all’altro, di trasformarsi in amministrazioni trasparenti, dotandosi di capacità digitali che non avevano. Cito un dato banale: quando è entrato in vigore il Foia in Inghilterra, c’è stato un periodo d’interregno di 4 anni. Il Decreto Legislativo 33, quello che ha introdotto gli obblighi di pubblicazione, ha avuto una vacatio legis di 15 giorni, il Foia di soli 6 mesi, e fino a 5 mesi e 20 giorni nessuno si era ancora organizzato. Quindi, noi siamo partiti, sostanzialmente, chiedendo a Comuni o a Enti che, spesso, non avevano neanche un computer, di doversi adeguare, e nel giro di 5 anni i risultati sono stati assolutamente eccezionali.
Non solo gli enti pubblici ma anche le Società partecipate sono soggette alla vostra vigilanza. Capitolo Rai: “Il mio più grande fallimento” così lei ha definito il suo rapporto con Viale Mazzini (nel 2017 sulle pagine del Corriere). A due anni di distanza, dopo i ripetuti rilievi dell’Anac sugli appalti con affido diretto, le continue proroghe, i super compensi e le assunzioni dei dirigenti esterni, è cambiato qualcosa?
È cambiato che la Rai è uscita dal perimetro dell’anticorruzione grazie al Decreto legislativo sulle Società pubbliche, quindi, hanno risolto il problema normativamente. La verità è che la Rai, fino a che è rimasta un soggetto che sostanzialmente doveva rispettare le regole anticorruzione, si era data delle regole molto ferree, per esempio, sul ricorso all’esterno nella scelta dei direttori, dei consulenti e di tutti i ruoli dirigenziali. Però, probabilmente in Rai i vertici non avevano nemmeno letto le regole che si erano date. Quindi, quando l’Anac ha richiesto il rispetto delle regole che loro stessi avevano stabilito, si è riscontrato che c’era una scarsa consapevolezza. Qualcuno le aveva scritte, ma l’80% dei dirigenti non le aveva mai lette. Il risultato è stato che la Rai è riuscita a farsi escludere dal perimetro dell’anticorruzione e noi non siamo più riusciti a controllare. Però, quello è stato un passaggio rilevante, perché per la prima volta si è stabilito un criterio che ancora oggi si applica in Rai, ovvero, prima di nominare un dirigente esterno, o il direttore di una rete, si fa una verifica interna. Questo per evitare il paradosso di dover pagare stipendi a ex direttori che restano fermi, e ce ne sono, purtroppo, tantissimi, anche molti nomi noti e si assumono, ovviamente con il limite di 240.000 euro, altri soggetti che vengono dall’esterno.
La trasparenza è un diritto dei cittadini, e un dovere per le amministrazioni. Oltre che uno strumento essenziale per prevenire la corruzione. Chi non adempie dopo gli inviti dell’Anac, cosa rischia?
Abbiamo un potere sanzionatorio irrisorio e lo possiamo utilizzare in casi molto ridotti. Applichiamo le sanzioni, per esempio, nel caso in cui non venga adottato il piano di prevenzione alla corruzione, mentre nella gran parte degli altri casi non è prevista una sanzione, tranne quella di tipo reputazionale. Ovvero, consiste nel fatto di far sapere, rendendo pubblico il dato, la notizia della non osservanza delle regole, e questo sta diventando anche nel nostro Paese un valore. Quando abbiamo fatto quegli accertamenti sulla Rai che, hanno avuto anche una certa notorietà, non avremmo potuto applicare alcuna sanzione. E nonostante ciò, c’è stata una grande preoccupazione. Quella delibera fu impugnata persino al Tar, malgrado quella sanzione non avrebbe potuto portare a nessuna conseguenza.
Perché tanta attenzione?
L’attenzione e la preoccupazione derivavano dal fatto che oggi questi temi stanno diventando di grande interesse per i cittadini. Fino a che non passeremo all’idea che non c’è bisogno delle sanzioni draconiane per far applicare le regole, non diventeremo una società civile al 100%. Nei paesi di tradizione anglosassone, non c’è bisogno di minacciare chissà quali sanzioni per chiedere le dimissioni di un ministro che, per esempio, ha copiato un capitolo di una tesi di dottorato. Questo, purtroppo, è frutto di una diversa cultura delle regole a cui piano, piano, ci dobbiamo necessariamente abituare: l’idea che ci siano principi etici e deontologici che vanno applicati a prescindere dal fatto che ci sia o meno una sanzione. Nel 90% dei casi in cui interveniamo, quindi, non possiamo irrogare sanzioni però, il tasso di adempimento dei nostri provvedimenti è superiore al 90%. Questo significa che le persone si vergognano di poter essere esposte al pubblico ludibrio e questo ha avuto un effetto, oggettivamente, positivo.
Chiudiamo in bellezza, cosa farà da grande Cantone?
Torna in Cassazione.
Lei ha fatto tre domande per dirigere le procure di Perugia, di Torre Annunziata e Frosinone, dove vorrebbe andare veramente?
Non mi dispiacerebbe poter andare a Torre Annunziata per tornare a casa; sarebbe una mia aspirazione e soprattutto quella di mia moglie che ci tiene moltissimo che dopo tanti anni che lavoro fuori possa rientrare a casa, ma so che Torre Annunziata sarà una meta difficilissima. Dal punto di vista della tipologia di lavoro mi augurerei, invece, di essere designato alla procura di Perugia (dal 17 giugno 2020 Raffaele Cantone è il nuovo procuratore della Repubblica di Perugia, ndr) perché è una procura particolarmente interessante. Se non mi nomineranno in nessuna di queste tre Procure resterò in Cassazione, e farò altre domande. Il futuro per quanto mi riguarda è abbastanza delineato, è una delle poche cose certe.