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Addio al controllo sulle armi nucleari? Il futuro del New Start secondo l’amb. Stefanini

Dopo Inf e Open Skies, si avvicina la scadenza del trattato New Start, ultimo baluardo del sistema di controllo degli armamenti sorto durante la Guerra fredda. I negoziati tra Stati Uniti e Russia sono partiti, con la volontà comune di far sedere al tavolo anche la Cina, obiettivo ad ora piuttosto complicato. Formiche.net ha fatto il punto con l’ambasciatore Stefano Stefanini, senior advisor dell’Ispi, già rappresentante permanente per l’Italia alla Nato, tra i 47 firmatari (di 16 Paesi) della dichiarazione pubblicata ieri dallo Euro-Atlantic security leadership group (Easlg) che invita Stati Uniti e Russia a rinnovare il New Start e gli altri Paesi nucleari a ribadire il rifiuto per ogni ipotesi di guerra nucleare. L’iniziativa è promossa dal britannico Des Browne (vice presidente Nuclear Threat Initiative, già ministro della Difesa Uk), dal tedesco Wolfgang Ischinger (presidente della Munich Security Conference Foundation), dal russo Igor Ivanov (presidente del Consiglio russo per gli affari internazionali e già ministro degli Esteri di Mosca) e dall’americano Sam Nunn (co-presidente di Nuclear Threat Initiative, già senatore Usa). Per l’Italia, oltre a Stefanini, ci sono l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, il generale Vincenzo Camporini e Nathalie Tocci, direttore dello Iai. Tante le sigle autorevoli, tra ex ministri europei, esperti russi e militari Usa.

Ambasciatore, quale è l’obiettivo della dichiarazione?

L’obiettivo è duplice. Primo, portare i leader globali a firmare una dichiarazione congiunta in cui si dica che una guerra nucleare non può essere né combattuta, né vinta, e su questo il gruppo che fa capo a Browne, Ischinger, Ivanov e Nunn sta portando avanti da tempo l’iniziativa. Il secondo punto è più attuale, e riguarda il rinnovo e l’estensione del trattato Nwe Start che scade tra sei mesi.

Con la fine dell’accordo Inf dello scorso anno, e la più recente uscita degli Usa dagli accordi Open Skies, sembra essere l’ultimo baluardo del sistema di controllo degli armamenti che affonda le radici nella Guerra fredda. È così?

Sì, è l’ultimo dei grandi trattati sul controllo degli armamenti. È inoltre il più importante perché stabilisce una soglia rigida (1.550 testate strategiche per ciascuno) per quelle che restano le due grandi potenze nucleari: Stati Uniti e Russia.

A che punto è il rinnovo?

Le trattative sono in corso, anche se non è chiaro con quanta convinzione dall’una e dall’altra parte. Nel frattempo, si sta diffondendo l’idea che, anche qualora il trattato non venga rinnovato, cambierebbe poco per la sicurezza europea. In realtà, noi pensiamo che senza il rinnovo venga meno una pietra militare della limitazione del rischio di conflitto con l’uso dell’arma nucleare. Certamente i tempi sono cambiati rispetto al passato, ma di fatto Usa e Russia restano le due potenze dominanti in campo nucleare, e l’abbandono di un percorso di controllo e di limitazione degli armamenti che ha dato buoni frutti sin dalla fine degli anni ’60 sarebbe per tutto il mondo un pessimo segnale.

Da qui il vostro appello.

Sì. Un appello che cade tra l’altro in una settimana in cui tutti dovremmo fare mente locale sugli armamenti nucleari. Domani saranno 75 anni dalla bomba atomica su Hiroshima, e poi, domenica, da quella su Nagasaki. Abbiamo vissuto il rischio di devastazione nucleare, e oggi quel rischio resta. Le capacità delle due super potenze e degli altri Paesi nucleari (compresi quelli non ufficiali) sono oggi molto superiori alle due bombe utilizzate dagli Stati Uniti contro il Giappone. Il pericolo esiste ancora e va affrontato come è stato fatto per tre quarti di secolo. In tutti questi anni è stata sviluppata una dottrina di gestione degli armamenti nucleari che purtroppo rischiamo di perdere.

Ci spieghi meglio.

L’intera generazione di grandi esperti del controllo degli armamenti, sia americani che russi, sta andando in pensione. È importante preservare l’eredità che ci hanno lasciato, di cui il trattato New Start rappresenta il caposaldo. Da qui nasce l’appello pubblicato ieri. Tra i 47 firmatari ci sono americani, russi ed europei, con uno spettro di capacità e competenze politiche, diplomatiche e militari che dovrebbe quantomeno far riflettere.

Eppure, l’impressione è che gli interessi di Usa e Russia convergano sulla demolizione del sistema nato durante la Guerra fredda, soprattutto per il “fattore Cina”, visto che Pechino non è vincolata al rispetto di tale sistema. Quanto pesa l’elemento cinese?

Senza dubbio il fattore Cina è tra quelli che rendono più svogliati i negoziatori russi e americani nel trattare l’estensione e il rinnovo del trattato New Start. Che la Cina accetti di entrare nei negoziati sul controllo degli armamenti è di assoluta importanza. Per tanti anni, Pechino ha infatti goduto di un abbuono dovuto alla maggiore estensione degli arsenali delle altre due super potenze. Ma ora la differenza non è più nel numero di testate, quanto nelle capacità (anche balistiche) e su questo i cinesi hanno sviluppato parecchio.

Per ora la Cina non ha risposto agli inviti.

Ha appena lanciato una spedizione su Marte, e di certo non può più ritenersi un Paese con meno capacità scientifiche e tecnologiche rispetto alle due grandi potenze nucleari. È ormai la seconda potenza economica mondiale e deve affrontarne le responsabilità, in questo campo come in quello commerciale. Perciò è importante portare la Cina al tavolo, ma questo non giustifica comunque la rinuncia di Usa e Russia a liberarsi dai limiti del New Start, anche perché con una soglia di 1.550 testate sono piuttosto ampi. Sicuramente, per valutazioni diverse, americani e russi sono diventati insofferenti delle reciproche limitazioni che si erano dati. Ma il mancato rinnovo del trattato sarebbe un pessimo segnale.

Nel mezzo c’è l’Europa. Il Vecchio continente riesce a essere compatto sul tema nucleare?

Sarò brutale: no, l’Europa non riesce a parlare con una voce sola, specialmente in campo nucleare. Questo soprattutto perché ci sono due potenze, Francia e Regno Unito (di cui ormai solo una nell’Ue), che hanno sempre rifiutato di mettere nel patrimonio comune europeo le loro capacità nucleari. L’unica sede in cui gli europei sono in grado di far sentire la loro voce, sebbene chiaramente non come Paese unitario, è la Nato.

Se dovesse scommettere oggi, scommetterebbe sul rinnovo del New Start il prossimo febbraio?

Direi di sì. Perché mettendo sulla bilancia i pro e i contro del rinnovo, i primi superano i secondi. Saranno probabilmente inserite delle cautele, specialmente per la necessità di includere la Cina. Una formula potrebbe essere l’estensione per un periodo limitato, ad esempio un paio d’anni, con l’impegno a portare al tavolo anche Pechino. Poi bisognerà ovviamente fare i conti con la volontà cinese, ma se russi, americani ed europei cominciassero a fare pressione seriamente, non so quanto possa durare l’impermeabilità di Pechino alla chiamata in causa. Da questo punto di vista, sarebbe bene che la chiamata arrivasse da tutta la comunità internazionale, da Africa, Asia e America latina, che spesso chiudono un occhio sulla Cina per concentrarsi sul nucleare di Russia e Usa.

Infine ci sono le altre potenze nucleari.

È chiaro che avere la Cina al tavolo significa coinvolgere tutte le altre potenze nucleari, anche quelle con arsenali più limitati come Francia e Regno Unito. Ci sono poi le potenze nucleari non ufficialmente ritenute tali, e sono almeno quattro: Pakistan, India, Israele e Corea del Nord. Il problema è dunque estremamente complesso da un punto di vista diplomatico e politico, ma partire eliminando il trattato New Start darebbe un pessimo esempio. Potrebbe apparire logica l’idea di fare tabula rasa e ripartire da zero, ma in realtà sarebbe un segnale negativo, per lo più dalle due super potenze che tutt’ora mantengono in campo nucleare una superiorità numerica e qualitativa senza pari. La Cina forse si avvicina, ma non è ancora alla loro altezza. L’obiettivo non dovrebbe essere certo di portare tutti al loro livello, quanto di abbassare il livello di tutti.


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