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Bannon? La destra in Italia cammina sulle proprie gambe. Parola di Gervasoni

Di Marco Gervasoni

Lo premettiamo, ammiriamo molto Steve Bannon e lo troviamo pure assai simpatico. Così come, dalla lettura della stampa statunitense, ci sembra che il capo di accusa contro di lui sia piuttosto campato in aria e frutto di indizi, considerando poi la chiara militanza politica della procuratrice. Persino il New York times lascia trapelare che le prove contro Bannon non sarebbero schiaccianti, il Wall Street Journal ancor più, mentre in un intervento su Crisis, Michael Warren Davis lascia intendere che Bannon si stesse riavvicinando a Trump e che l’arresto quindi ubbidisca a un curioso sincronismo. Del resto in Italia abbiamo visto vicende simili, anzi assai peggiori.

Una volta premesso ciò, ci pare tuttavia fortemente esagerata la notizia che la caduta (ammesso lo sia) di Bannon produrrò un equivalente crollo di Salvini e di Meloni, versione molto diffusa sui social e pure in qualche commento di quotidiano. Come se, non solo la proposta politica sovranista italiana, ma persino il suo consenso fossero dipendenti dalla figura dell’imprenditore e politico statunitense. Una tesi davvero insostenibile.

Se il sovranismo deve qualcosa a Bannon, questo è da cercare nel contributo importante, forse persino fondamentale, da lui fornito alla campagna elettorale di Trump. E senza elezione di Trump, per quanto i meccanismi non funzionino in maniera cosi automatica, difficilmente l’onda sovranista avrebbe avuto quel peso in Italia. Ma per il resto, il contributo di Bannon all’Italia, in cui pure si è mosso per lungo tempo, soprattutto dopo aver lasciato il ruolo di consigliere alla Casa Bianca, sembra piuttosto modesto, e quando non lo è stato, temiamo abbia finito per essere dannoso.

Ci riferiamo al ruolo esercitato da Bannon nel contribuire  alla fugace alleanza tra Lega e 5 stelle, in nome del disegno ideologico antisistema dell’incontro tra i populisti. È probabile che Bannon una funzione l’abba giocata, anche se forse non cosi essenziale come egli ama ricordare. Ma fu utile quest’incontro? Più passa il tempo, più ci convinciamo infatti che aver varato il governo Conte sia stato un grosso errore strategico, al di là della modestia del risultati e persino dei danni introdotti da quell’esecutivo. Se si fosse lasciato tentare già allora l’esperimento Pd 5 stelle, chissà, forse ora premier sarebbe Matteo Salvini.

Sui social circolano in queste ore fotografie di Giorgia Meloni a fianco di Steve Bannon, invitato ad Atreju, la festa di Fratelli d’Italia, nel settembre 2018. L’imprenditore americano stava in quel momento tentando di varare la sua rete, The Movement, a cui Fratelli d’Italia erano interessati. Poi il movimento si arenò, Bannon passò in secondo piano e all’elezioni europee del 2019 il partito di Meloni decise (saggiamente) di entrare nel gruppo dei Conservatori. Anche la Certosa di Risulti, l’università “sovranista” formalmente in costruzione da anni, si è rivelato un esperimento abortito.

Abbiamo a disposizione pochi elementi per sapere se Bannon, pure dopo l’uscita dalla Casa Bianca, si muovesse su direttive di Trump. Sta di fatto che in politica i giudizi si basano non sulle intenzioni o sulle parole ma sulle realizzazioni; e da questo punto di vista Bannon non ha lasciato nulla e i sovranisti italiani nulla gli devono, e ancor meno Lega e Fratelli d’Italia.

Per quanto possieda una certa cultura e curiosità intellettuale, non si può infatti confondere Bannon con un teorico e forse neppure come un ideologo, Il suo “corpus” sono interviste o interventi sparsi, in molti casi contraddittori tra loro. Uomo di notevoli intuizioni e di azioni intraprese nel giusto momento, non lo si può tuttavia presentare come la principale voce del sovranismo, ammesso che ve ne sia una.

La vicenda di Bannon, secondo noi in grado di uscire a testa alta dalla vicenda, ci induce a due riflessioni. La prima, che il cosiddetto sovranismo soffre di un grande deficit di capacità realizzativa e organizzativa: il che dal punto di vista politico è piuttosto grave. La seconda, più teorica, è che lo schema bannoniano dell’andare oltre la destra e la sinistra e dello scontro epocale tra globalisti e populisti, ammesso abbia funzionato per un momento, oggi sia alle nostre spalle. Assistiamo infatti alla riparazione del clivage destra / sinistra, cioè conservatori vs progressisti, come un segno di riallineamento interno al sistema. Certo, i conservatori sono ora decisamente nuovi rispetto a quelli vecchi dei tempi del bushismo, ora non a caso attratti da Biden: e per questa rigenerazione bisognerà comunque ringraziare anche Bannon. Ma la politica della destra italiana camminerà sulle proprie gambe.

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