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La battaglia di Portland. Così la violenza avvolge le presidenziali Usa

La battaglia di Portland è divenuta il fronte più caldo della corsa 2020 alla Casa Bianca, dopo che sabato notte un miliziano suprematista ‘pro Trump’ è stato ucciso da un colpo di arma da fuoco, durante tafferugli con manifestanti anti-razzisti.

Il presidente Donald Trump dedica alla vittima un tweet di cordoglio (Riposa in pace, Jay’), che non ha mai dedicato alle vittime nere della violenza suprematista o della polizia.

Intanto, il New York Times calcola che i contagi da coronavirus negli Stati Uniti abbiano raggiunto e superato i sei milioni, mentre i dati della Johns Hopkins University indicano che i contagi Usa, alla mezzanotte sulla East Coast, si avvicinavano ai 5.996.500 e i decessi superavano i 183.000.

Sono in valore assoluto le cifre più alte a livello mondiale: gli Stati Uniti, che rappresentano meno di un ventesimo della popolazione mondiale, hanno quasi un quarto degli oltre 25 milioni di contagi e quasi un quarto delle oltre 846 vittime globali.

Ma l’epidemia è praticamente assente dalla campagna elettorale del presidente Trump, che ha invece scelto di calcare i toni Law & Order: lo si era visto alla convention repubblicana. I fatti più recenti di Kenosha nel Wisconsin – due neri uccisi da un suprematista bianco di 17 anni, un suo fan – e di Portland nell’Oregon gli hanno offerto ulteriori occasioni di cavalcare la paura dei suoi elettori bianchi.

Trovano così conferme le analisi quasi coincidenti di New York Times e Washington Post, per cui la convention repubblicana, la scorsa settimana, è stata “una tempesta di disinformazione”: secondo i fact checkers dei due quotidiani, che vi hanno trovato una ventina di falsità, il discorso di chiusura di Trump giovedì notte “è stato un’onda gigante di racconti esagerati, false affermazioni e revisionismo storico”.

Dipingendo, ad esempio, una presidenza Biden che taglierebbe i fondi alla polizia e favorirebbe l’invasione dei quartieri bianchi ricchi ed eleganti da parte dei neri. Sul WP, Toluse Olorunippa parla di “una realtà alternativa”, in cui “l’epidemia è stata sconfitta dalla leadership del presidente, l’economia è tornata sui livelli pre-pandemia, le truppe all’estero stanno tornando a casa e Trump è una figura empatica che sostiene l’immigrazione e che non cercherà mai di speculare sulle tensioni nel Paese”.

Ma, osserva Ishaan Tharoor sullo stesso giornale, questa “non è l’America che oggi esiste”, dove si può invece affermare che il presidente induce i suoi sostenitori ad azioni violente contro chi protesta, che le vittime dell’epidemia stanno per raggiungere le 200 mila e che l’economia è crollata d’un terzo del Pil: “Il presidente punta ad accentuare la polarizzazione per ottenere la rielezione”.

Oltre al tweet “Riposa in pace Jay!”, riferito a Jay Bishop, l’uomo ucciso sabato notte a Portland durante scontri tra manifestanti del movimento Black Lives Matter e sostenitori del magnate, tra cui diversi esponenti di gruppi dell’estrema destra, Trump ha ritwittato un post di una sua attivista: “Assassinato dagli antifa”, la sigla degli anti-fascisti anti-razzisti che il magnate considera terroristi.

“Il solo modo per fermare la violenza nelle città come Portland guidate dai democratici è la forza!”, twitta ancora Trump sferrando un durissimo attacco al sindaco di Portland Ted Wheleer  da tempo suo bersaglio e definito “un pazzo”. “Trump incoraggia la violenza”, replica Wheeler, che si è già opposto all’invio nella sua città della Guardia Nazionale e di agenti dell’Fbi: “La campagna di paura portata avanti dal presidente è anti-democratica”. Il presidente Trump “istiga alla violenza. Ora basta!”, afferma il leader dei senatori democratici Chuck Schumer.

Da tre mesi, da quando è montata l’onda delle proteste antirazziste dopo l’uccisione a Minneapolis di George Floyd, Portland è teatro di disordini. Sabato notte però c’è scappato il morto, dopo che sostenitori di Trump sono arrivati in città a bordo di centinaia di furgoni e pickup: un corteo voluto da diverse organizzazioni, alcune di estrema destra.

E proprio a un gruppo ultraconservatore e di estrema destra, quello dei Patriot Prayers, apparteneva la vittima, colpita al petto da un proiettile e morta all’istante. Dalle prime ricostruzioni gli spari ci sono stati dopo che dalla carovana di pickup era partita una raffica di proiettili alla vernice contro i manifestanti, che, in risposta, avrebbero iniziato un fitto lancio di oggetti, pietre, bottiglie, bidoni della spazzatura.

A un certo punto la tragedia, di cui sia sta tentando di individuare i responsabili. A indagare anche agenti dell’Fbi. Ma la vera preoccupazione è che la situazione in città, già da settimane degenerata, possa finire del tutto fuori controllo, con una vera e propria guerra tra fazioni opposte.

Il dramma di Portland arriva mentre l’Unione è attraversato da una nuova ondata di proteste contro il razzismo e la polizia violenta.

A innescarla il caso di Jacob Blake a Kenosha, in Wisconsin. Qui, domani, Trump intende recarsi: l’agenda finora diffusa dalla Casa Bianca non prevede incontri con la famiglia dell’afro-americano cui un agente ha sparato sette colpi di pistola alla schiena, ma evoca la volontà di esprimere solidarietà alle forze dell’ordine, “poliziotti eroi” impegnati a contrastare anarchici e antifa il cui obiettivo, dice il magnate, è mettere a ferro e fuoco le città e farlo perdere.

“Il presidente non dovrebbe venire a Kenosha, non è quello di cui abbiamo bisogno ora”, afferma, però, il governatore del Wisconsin Mandela Barnes, secondo cui la presenza del Trump rischia di rinfocolare le tensioni.



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