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Covid19 e mercato del lavoro: crisi della domanda e recessione globale

Lo avevamo detto all’inizio della Fase 2: al di là della situazione di incertezza sanitaria globale tra prime e seconde ondate, l’economia globale e il mercato del lavoro stanno scivolando progressivamente verso una recessione globale da cui sarà difficile uscire rapidamente. D’altra parte, la domanda, a parte per logistica, tecnologia, salute e alimentari per la grande distribuzione, è sotto almeno del 50% rispetto al 2019. Nonostante il supporto degli Stati, molte compagnie aeree, bar, ristoranti, hotel, cinema e teatri sono in piena crisi di liquidità a causa della crisi della domanda diretta o generata dal distanziamento sociale.

Senza poi dimenticare che, per quanto CIG e sussidi di disoccupazione sostengano lavoratori e famiglie, si tratta di strumenti che comportano comunque la riduzione o la cancellazione della domanda di beni e servizi non essenziali. Ma non si tratta di un fenomeno solo nazionale o europeo. La crisi della domanda di questa fase del Covid 19 si dispiega a livello globale. Perché non è che all’estero le cose vadano meglio. E questo non è bene per un Paese come l’Italia che genera il 30% del proprio PIL con le esportazioni.

Anche perché sappiamo bene che, dall’inizio del lockdown, nessuno paga più nessuno e usa qualsiasi scusa disponibile per evitare di saldare fatture e pagamenti. Per questo tutti ormai chiedono di essere pagati in anticipo e questo drena ulteriore liquidità al sistema globale. Non per niente, BCE, FED, BoJ, BoE, stanno ampliando i propri programmi di immissione di liquidità, correndo il rischio di “drogare” il mercato dei capitali tenendo in vita “zombie firms” e “fallen angels”, ovvero quelle aziende che, a causa della crisi pandemica, non potranno mai rimborsare i propri prestiti. Il problema è che meno fiducia produce meno liquidità che genera meno domanda. In un mondo in deflazione, ecco il paradigma della recessione globale.

Quanti fallimenti e quanta disoccupazione avremo? Le stime sono complesse ma la maggior parte dei centri studi stimano che, in Italia, tra il 20 e il 30% delle imprese non riaprirà, soprattutto tra le piccole e piccolissime. Per questo, pur ritendendo importante la proroga della CIG e il prolungamento del divieto di licenziamento nel mercato del lavoro siamo consapevoli che, quando questo “metadone” finirà, molti perderanno il lavoro, in particolare donne e giovani. E’ una strada obbligata perché le imprese più colpite dovranno ristrutturarsi rapidamente. L’alternativa è quella di vederle fallire con un triplo danno per lo Stato: industriale per la perdita di capacità produttiva, erariale per i mancati introiti fiscali e occupazionale per la perdita definitiva dei posti di lavoro.

L’OIL ha stimato che la pandemia produrrà 195 milioni di nuovi disoccupati. Se non da numeri a caso, poiché l’Italia vale tra il 2 e il 2,5% del PIL del mondo, avrà almeno tra 1 e 2 milioni di nuovi disoccupati che, sommati ai precedenti, ci potrebbero far passare, come ha affermato la BCE, dal 9,7 al 25% di disoccupazione. Altro che nessuno resterà indietro: ci sarà una strage di aziende, partite IVA e lavoratori perché, purtroppo, OIL e BCE sono credibili organizzazioni internazionali.

E’ per questo che sarebbe importante non perdere tempo e progettare fin d’ora un rafforzamento della Naspi e dei processi di outplacement dove, vista la fragilità del sistema pubblico, bisognerà stringere un patto importante con le agenzie del lavoro private e, soprattutto, predisporre un uso “a laser” delle risorse. Altrimenti rischiamo di drogare anche il mercato del lavoro senza sostenere la ricollocazione. Un lavoratore dei settori più colpiti potrebbe, ad oggi, stare in CIG 8 mesi (fino alla fine del 2020), poi in Naspi 18/24 mesi e dopo in Reddito di Cittadinanza senza nessuna politica attiva che sia degna di questo nome. Alla fine, dopo tutto questo tempo di inattività, la persona rischierà di essere totalmente fuori dal mercato del lavoro. E questo significherà la perdita non temporanea ma definitiva di molti occupati e anche della relativa capacità fiscale.

Un danno irreparabile per il nostro Paese.

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