La conquista della nomination da parte di Joe Biden aveva lasciato qualche scoria tra i democratici statunitensi, in particolare tra le frange più radicali che vedono in Alexandria Ocasio-Cortez e in Bernie Sanders i loro paladini. Ma con la sua scelta della cinquantacinquenne senatrice Kamala Harris come running mate, l’ex vice di Barack Obama sembra essere riuscito nell’impresa di unire la varie anime del Partito democratico, come già analizzato su Formiche.net da Giampiero Gramaglia.
Se Harris è stata protagonista di scontri accesi con Biden nel corso nei dibattiti televisivi fra gli aspiranti candidati democratici l’anno scorso, è stata anche grande amica del figlio dell’ex vicepresidente, Beau, morto cinque anni fa, colui che lo aveva tanto spinto a candidarsi alla Casa Bianca (come racconta l’ex vicepresidente nel volume Promise me, dad pubblicato in italiano da NR Edizioni con il titolo Papà, fammi una promessa). La sorella di Kamala Harris, Maya, già senior fellow del Center for American Progress, è stata invece tra i consiglieri più vicini di Hillary Clinton, protagonista della scrittura della sua agenda per la campagna presidenziale di quattro anni fa. Per la sua storia personale la senatrice è stata più volte paragonata all’ex presidente Obama, tra i primissimi a congratularsi ieri con il suo vice per la scelta.
I DIBATTITI
Dopo che Harris e Biden si scontrarono aspramente durante un dibattito televisivo lo scorso anno, l’ex vicepresidente disse: “Non ero preparato al fatto che mi attaccasse in questo modo. Conosceva Beau, conosce me”. L’aveva sottovalutata. Lo stesso errore che non potrà compiere Mike Pence (o chi per lui, visto che ancora Donald Trump non ha ufficializzato il suo running mate — circola il nome di Nikky Haley, ex governatore della Carolina del Sud ed ex ambasciatore delle Nazioni Unite).
È anche per la sua capacità nel confronto televisivo che Biden (che potrebbe soffrire Trump durante i tre dibattiti presidenziali) ha scelto Harris. Appuntamento dunque al 7 ottobre alla Kingsbury Hall della University of Utah. Abbiamo già visto l’ultimo dibattito tra candidati dem, quello tra Biden e Sanders di metà marzo: con ogni probabilità non ci sarà il pubblico, niente strette di mano tra gli sfidanti, che saranno su due podi a due metri di distanza.
LA POLITICA ESTERA
Tra le tradizioni della politica americana c’è il questionario del Council on Foreign Relations, uno dei principali think tank statunitensi. Tanti i temi contenuti nelle 12 domande poste ai candidati alla nomination democratica circa un anno fa: Cina, Hong Kong e la situazione degli uiguri; accordo sul nucleare iraniano; Corea del Nord; Russia e Ucraina; Afghanistan; Golfo; questione israelo-palestinese; Venezuela; accordo transpacifico. A parte alcuni distinguo (come per esempio sulla questione iraniana, su cui Biden appare più duro) i due sembrano viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda, ispirati da un approccio multilaterale e progressista.
È stato recentemente lo stesso Council on Foreign Relations a sottolineare il ruolo sempre più centrale del vicepresidente nelle questioni di politica estera a partire dagli anni Settanta — un nome su tutti è quello di Dick Cheney, vice di George W. Bush, ma non va sottolineato l’impegno di Pence per rassicurare gli alleati e sviluppare l’agenda Trump. Foreign Policy racconta la stretta cerchia di consiglieri di politica estera di Biden. Tra di loro molti veterani dell’amministrazione Obama, tra cui l’ex vicesegretario di Stato Antony Blinken e l’ex vicedirettore della Cia Avril Haines. Anche se Harris non ha l’esperienza di Biden, non è “un peso leggero in politica estera”, ha detto alla rivista Rebecca Bill Chavez, ex funzionario del Pentagono che ha lavorato con lei durante le primarie, che ne ha elogiato la capacità di comprendere le situazione complesse.
La Cina, come emerge della risposte di Biden e Harris al Council on Foreign Relations, rimarrebbe in cima alla lista delle sfide in casa di loro ingresso alla Casa Bianca. E uno dei candidati a un posto nell’amministrazione Biden è Michèle Flournoy, fondatrice del Center for a New American Security e già sottosegretario al Pentagono. Come raccontato da DefenseNews.com, durante un recente Aspen Security Forum ha auspicato che il prossimo segretario alla Difesa degli Stati Uniti sia pronto a investire massicciamente in tecnologie rivoluzionarie (a partire dalle comunicazioni e dall’intelligenza artificiale), anche a scapito delle capacità esistenti, al fine di mantenere una forza di deterrenza contro Cina e Russia.