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Perché serve un dibattito bipartisan sulla Difesa nazionale. Parla Rizzo (M5S)

Una visione “nazionale” sulla Difesa, con un focus d’interesse che va da nord a sud della Penisola, e nel rispetto della collocazione internazionale del Paese. È la visione proposta da Gianluca Rizzo, da poco confermato alla presidenze della Commissione Difesa della Camera, raggiunto da Formiche.net per fare un punto sui temi che riguardano il settore, dalla tutela del comparto dai venti di crisi da Coronavirus, fino alle prospettive di export, passando per Libia e Difesa europea.

È arrivata per lei la conferma alla presidenza della Commissione Difesa della Camera. Che obiettivi per il secondo mandato?

Abbiamo proprio recentemente chiuso l’indagine conoscitiva su “Strade Sicure”, approvato in aula la proposta di legge sulla sindacalizzazione del comparto difesa, il rifinanziamento delle missioni internazionali dell’Italia con alcune importanti novità. E già questi sono temi che produrranno effetti diretti sul comparto Difesa. Altri meritano di essere posti al centro del dibattito parlamentare, frutto di recenti accadimenti.

A quali si riferisce?

Mi riferisco in particolare alla normativa sugli appalti pubblici nel settore della difesa, alle modalità di rilascio degli encomi, al riconoscimento degli straordinari al personale, al finanziamento dell’industria della difesa e dello spazio, alla riforma delle indennità. Il benessere del personale, la meritocrazia, gli stanziamenti mirati per il settore: questi i capisaldi di un’attività che proverò a svolgere collegialmente con i colleghi di maggioranza e di opposizione.

Quindi, quali dossier sono prioritari in Commissione?

Abbiamo diverse proposte di legge che sono in procinto di entrare nel vivo della discussione in Commissione. Da quella sul reclutamento, a quella della riforma della giustizia militare, dalla costituzione di un corpo di polizia ambientale a quella di una riserva ausiliaria per calamità o esigenze sanitarie. Sono solo degli esempi dei temi che l’intera commissione ha voluto condividere a dimostrazione che la trasversalità degli argomenti unisce, pur nel rispetto delle diverse vedute, il lavoro di tutti. Il mio compito è di poter favorire una sintesi condivisa nel rispetto delle regole parlamentari e delle esigenze della maggioranza e delle opposizioni. Personalmente ho sempre condotto i lavori della Commissione con una visione sia nazionale (con un focus d’interesse che va da Nord a Sud del nostro Paese) sia di collocazione internazionale dell’Italia.

Resta notevole l’attenzione per il sostegno al comparto industriale della Difesa. Come può essere tutelato dai venti di crisi da Covid-19?

Il comparto industriale della Difesa deve essere letto come un tutt’uno con le politiche di rilancio industriale nel loro complesso. Si tratta di un comparto che non ha chiuso la produzione durante il lockdown, poiché considerato come una produzione essenziale per la sicurezza del Paese. Certo, la vicenda della pandemia ha spostato l’attenzione verso problematiche di natura sanitaria di cui anche il comparto difesa è coinvolto e chiamato a dare il proprio contributo.

Intanto si parla di revisione della legge 185 del 1990, con una proposta che prevede regole più stringenti. Non è un rischio rendere più difficile l’export per un settore strategico che vive di vendite all’estero?

La legge 185 del 1990 rappresentò un fatto epocale, una legge di civiltà che faceva ordine dopo decenni di far west sul tema, con corredo di tangenti, triangolazioni e opacità degli stessi processi decisionali. Si dava così centralità al ruolo d’indirizzo e di controllo del Parlamento. Nonostante siano passati trent’anni, la legge rimane un riferimento importante su questo tema che ha consentito, per esempio, all’Italia di uscire dalla vendita e detenzione delle mine anti-persona e di rendere trasparenti e tracciabili il commercio di armamenti. Le armi non sono una merce qualunque, hanno implicazioni dirette sulla politica estera e di difesa del nostro Paese. Certo, in sede di applicazione, si sono verificati limiti interpretativi in merito ai Paesi al quale, per la nostra legge, è fatto divieto della vendita di sistemi d’arma come i regimi che violano i diritti umani o quelli in stato di guerra. Di norma si è avvalorata la tesi che un Paese è in guerra solo se a ratificare questo status sia un organismo internazionale di cui l’Italia è membro come l’Onu, la Ue o la Nato. La cosa ha portato anche a posizioni differenti tra Parlamento italiano ed europeo e le decisioni effettive dei governi. Su questo punto senz’altro bisognerà lavorare per rendere più chiara la fattispecie, ma penso che sia fondamentale che, almeno a livello europeo, tutti seguano dei principi condivisi e comuni.

Nel frattempo, per la Difesa europea, il negoziato recente tra Paesi membri ha portato le risorse dell’Edf a 7 miliardi per sette anni. Non è poco secondo lei per la Difesa comune? Resta un progetto credibile?

Il punto che lei solleva è vero. L’unico neo del recente accordo raggiunto al Consiglio Europeo sul Recovery fund (che ha rappresentato un oggettivo successo del nostro Paese e del presidente Giuseppe Conte) è il fatto che a farne le spese sono alcuni programmi europei già in cantiere con una importante riduzione delle risorse stanziate. Ho visto che già il Parlamento europeo ha avanzato critiche e proposta di modifica per scongiurare questi tagli. Mi auguro che, sul finanziamento ai piani di difesa europea, si arrivi ad un ripensamento.

Come notava, il Parlamento ha approvato da poco la delibera sulle missioni all’estero per il 2020. Qualche frizione è emersa nella maggioranza sul supporto alla Guardia costiera libica. Divergenze superate?

La stampa ha molto enfatizzato questa divisione nella maggioranza mettendo in secondo piano la larga convergenza avuta, anche con le opposizioni, a sostegno delle missioni internazionali dell’Italia. Si tratta di una discussione seria quella sulla Guardia costiera e sicuramente esiste una preoccupazione comune che le corvette donate dall’Italia e i programmi di addestramento dei marinai libici fatti dalla nostra Guardia di Finanza servano effettivamente al consolidamento delle istituzioni libiche e alla lotta ai trafficanti di essere umani.

Lei come la vede?

Nelle condizioni date, secondo me, è stato giusto confermare la missione, perché è un modo concreto per l’Italia di pesare nelle scelte che la Libia è chiamata ad assumere nelle prossime settimane e che per noi prevede una Libia unita, sovrana e che torni a rispettare pienamente i diritti umani. Cancellare la missione avrebbe indebolito l’Italia anche sul versante della capacità di condizionarne il rispetto dei diritti umani dei rifugiati o dei migranti in Libia. Il teatro libico è lungi da essere pacificato e vi sono molti attori che stanno intervenendo in quel contesto non esattamente in forza delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Bisogna lavorare per la pace perché, come hanno detto più volte i ministri Di Maio e Guerini, non esiste una soluzione militare della crisi libica

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