Mario Draghi è il più eminente tra i civili servitori di cui dispone l’Italia. Stupisce che Mattarella non abbia ancora pensato a immettere questa esperienza nel circuito istituzionale con una nomina a senatore a vita non lesinata a figure egualmente rispettabili ma infinitamente meno rappresentative. Avere Draghi in Parlamento sarebbe un arricchimento enorme della forza rappresentativa delle nostre istituzioni democratiche soprattutto nella loro proiezione internazionale.
In questo spirito furono nominati Agnelli, Monti, e altri, la nomina di Draghi avrebbe ben maggiore importanza e sarebbe un vantaggio per tutti, tranne per il nominato, a cui ragionevolmente non aggiungerebbe molto. Questo è il solo profilo politico che mi suggerisce la biografia di Draghi e l’invocazione che ne viene fatta al capezzale dell’Italia piegata dalla pandemia (con annessa probabile carestia).
Penso che Draghi vada richiamato a un dovere a cui lui spontaneamente è già sensibile, ossia all’amor patrio che ha dimostrato sempre in una carriera svoltasi prevalentemente all’estero e in santuari dove l’italianità non era un sacramento santificante. Ciononostante Draghi ci ha aiutato a tenere diritta la barra del sistema italiano in più curve pericolose e con molti competitori desiderosi di tamponarci e spingerci fuori strada.
Può il Draghi di oggi aiutare il Paese? Certo che sì, con o senza una nomina a senatore a vita che in altri tempi sarebbe già avvenuta. Intanto l’impegno civile è un dovere per tutti, e un personaggio come Draghi lo sa bene. Chi lo conosce assicura che della politica davvero non ha voglia. C’è da scommettere che non abbia voglia di palazzo Chigi, dove avrebbe come partners di governo Salvini e Renzi, non proprio le frequentazioni che ha gradito di più negli ultimi anni. Mai accostato a qualsivoglia scelta politica, Mario Draghi non ha mai risparmiato osservazioni non encomiastiche a una politichetta italiana certo non migliorata dai tempi del suo governatorato in bankitalia.
Davvero Palazzo Chigi non è il sogno di Draghi. Egli sa che in quel palazzo si entra salvatore della patria e si esce nemico del popolo, come è capitato a Monti. E sa pure che il passaggio dall’una all’altra condizione avviene generalmente per mano di chi al governo ti ci ha portato per un interesse suo, e ti disarciona malamente quando l’interesse è cambiato. La parabola è resa credibile dal profilo della classe politica in voga oggi.
I bene informati dicono che a Draghi non importi molto nemmeno del Quirinale, a cui preferisce la tenuta umbra dove scorrazza coi suoi alani e riceve pochi amici, tra i quali non si annoverano politici. Si dirà che certe cose si fanno per amor di patria, e Fanfani aggiungerebbe che per un uomo la scelta giusta è sempre la più faticosa. Ma in questo momento la discesa in campo di Draghi è sollecitata principalmente da politici in cerca di poltrone, e – per quel che ho capito di Draghi – non prevedo che la causa lo scalderà.
C’è una sola occasione in cui Draghi ha parlato di un suo possibile impegno politico, rispondendo a un giornalista che gliene chiedeva conto: “Se decidessi di far politica, lo farei candidandomi”. Fu un omaggio alla sacralità della politica, e un garbato disimpegno dal format del super tecnico spedito al governo dopo il fallimento dei partiti.