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F-35 diplomacy in azione. Mike Pompeo tra Gerusalemme e Abu Dhabi

Gli Stati Uniti si impegneranno a mantenere il vantaggio militare di Israele rispetto agli altri attori mediorientali. È la rassicurazione sullo spinoso dossier “F-35 agli Emirati Arabi” che Benjamin Netanyahu attendeva da Washington, portata ieri a Gerusalemme dal segretario di Stato Mike Pompeo, impegnato in un viaggio che lo condurrà nei prossimi giorni tra Sudan, Bahrain e proprio Emirati Arabi. L’obiettivo della missione di Pompeo è cementificare i risultati raggiunti con l’accordo di normalizzazione tra Gerusalemme ed Abu Dhabi, rinvigorendo la struttura delle alleanze anti-Iran e provando a dirimere la questione F-35.

INDISCREZIONI E SMENTITE

La vicenda è esplosa la scorsa settimana, quando il New York Times ha rivelato il tentativo dell’amministrazione Trump di vendere agli Emirati Arabi i jet di quinta generazione che Abu Dhabi chiede da diversi anni. A gestire la pratica ci sarebbero direttamente il genero del presidente Jared Kushner e il principe ereditario nonché ministro della Difesa Mohammed bin Zayed Al Nahyan (ad Abu Dhabi, Pompeo incontrerà il fratello, Abdullah). Indiscrezioni a cui ha subito replicato il primo ministro Benjamin Netanyahu, ricordando le numerose occasioni pubbliche in cui ha espresso agli Usa tutta l’opposizione israeliana alla possibile vendita. Il giorno dopo, è stato Donald Trump dalla Casa Bianca a confermare che la fornitura ad Abu Dhabi è “under review”. Nel frattempo, come ricostruito da Axios, indispettiti dalla presa di posizione di Netanyahu, gli Emirati Arabi avrebbero cancellato venerdì scorso un incontro a tre (con Usa e Israele) programmato proprio sulla questione F-35. E se Gerusalemme continua a specificare che la vendita non rientra negli accordi siglati qualche settimana fa, Abu Dhabi tenta di inserirla nella normalizzazione dei rapporti.

IL TENTATIVO DI POMPEO

È in questo contesto che ieri è arrivato a Gerusalemme il segretario di Stato Mike Pompeo, con l’obiettivo primario di celebrare l’accordo raggiunto un paio di settimane fa tra Israele e Emirati Arabi, con l’intermediazione americana. Nelle dichiarazioni pubbliche dopo l’incontro con Netanyahu, Pompeo è intervenuto sulla questione, manifestando la volontà di inserire la vendita emiratina di F-35 (pur senza citare il velivolo) quantomeno nel clima di tale normalizzazione. Da una parte, la rassicurazione per Israele: “Gli Stati Uniti hanno un impegno giuridico nei confronti della vantaggio militare israeliano a livello qualitativo e continueranno a onorarlo”. Dall’altra, l’apertura alla vendita: “Abbiamo però una relazione di sicurezza di oltre vent’anni con gli Emirati Arabi” e “ora continueremo a rivederla per essere sicuri di fornirgli gli equipaggiamenti di cui hanno bisogno”.

IL DOSSIER IRANIANO

Il “bisogno” di cui parla Pompeo è la risposta all’assertività di Teheran. Per convincere Israele ad accettare la vendita, il segretario di Stato continua difatti a giocarsi la carta iraniana, la stessa su cui si basa buona parte della normalizzazione di rapporti tra Gerusalemme e Abu Dhabi (entrambe antagoniste di Teheran) e con cui Washington vuole convincere altri Paesi del Golfo a salire a bordo degli “Abraham Accords”. Eppure, alle rimostranze israeliane vanno aggiunte quelle del Congresso americano (e dei dem di Joe Biden). Come spiegava Formiche.net, sono per lo più legate “alle azioni militari in Yemen, dove l’ex coalizione saudi-emiratina ha prodotto migliaia di vittime civili nel tentativo di salvare (invano) il Paese dalla rivolta dei ribelli Houthi”.

IL PUNTO DI CAMPORINI

Preoccupazioni comprensibili, ha spiegato su queste colonne il generale Vincenzo Camporini, vice presidente dello Iai e già capo di Stato maggiore della Difesa. “Il punto fondamentale è che l’F-35 non è un aeroplano che ne rimpiazza uno vecchio, ma è una cosa completamente nuova; è il nodo non-eliminabile di una rete informatica che vola, e in questo senso ha delle capacità che consentono un salto quantico nella qualità della difesa”. Per questo, “non c’è nessuna ritrosia da parte americana nel vendere altri velivoli come gli F-16 e aerei di altre generazioni; ma l’F-35 fa un lavoro molto più complesso che moltiplica le capacità operative sia su terra che in aria che in mare, e soprattutto sul campo cyber”. Così, ha concluso Camporini, “chi fa parte del club di F-35 è come se stesse giocando un campionato di un’altra serie, o forse addirittura di un altro gioco”. In questo club gli Stati Uniti vogliono portare anche gli Emirati Arabi nella logica di massima pressione sull’Iran, cercando di vincere la ritrosia di Israele assicurandole in ogni caso il mantenimento del vantaggio militare sugli altri attori della regione.

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