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Cosa c’è dietro la revisione del pacifismo giapponese? La Cina

Tra reshoring, rafforzamento dell’asse con i Paesi occidentali e nuove interpretazioni del pacifismo sancito dalla Costituzione, il Giappone si sta preparando a far fronte alle mire egemoniche della Cina nella regione.

Il tema Cina è stato al centro dell’incontro, questa settimana a Londra, tra i ministri degli Esteri di Regno Unito e Giappone, Dominic Raab e Toshimitsu Motegi. I due hanno dichiarato che i rispettivi Paesi sono “fianco a fianco” su una serie di questioni e problematiche internazionali, inclusi Hong Kong e il contrasto alla pandemia di coronavirus. Motegi era in visita ufficiale per discutere in particolare il nuovo quadro di accordi per il commercio bilaterale, in vista della Brexit, con il ministro del Commercio britannico Liz Truss. Ma le dichiarazioni dell’incontro con l’omologo Raab indicano progetti ancor più ampi: il capo della diplomazia di Londra ha definito il Giappone un “partner cruciale per la sicurezza nell’Asia” e ha aggiunto che il partenariato tra i due Paesi “trae forza dalla fiducia comune nella sicurezza collettiva, dal rispetto del sistema internazionale basato sulle regole, e obiettivi economici e strategici comuni”. E ancora: “Che si tratti della nostra risposta collettiva alla Covid-19, della sicurezza informatica, dei mutamenti climatici o del sostegno alla libertà ad Hong Kong, il Regno Unito e il Giappone si ergono fianco a fianco, e guardano a un partenariato ancora più stretto in futuro”.

L’ASSE TOKYO-WASHINGTON

Il tutto accade quando il Giappone — che ospita la più grande concentrazione di forze militari statunitensi in Asia, compresa una portaerei, una squadriglia di caccia e una forza anfibia dei marine dispiegata a Okinawa, per un totale di oltre 50.000 tra militari e personale civile — rafforza l’asse con gli Stati Uniti, in particolare per quanto riguarda tecnologia e difesa. I due Paesi sono legati a una visione, comune anche a India e Australia, dell’“Indo-Pacifico libero e aperto” in chiave anti Cina.

Non soltanto Ibm ha recentemente lanciato una partnership con l’industria giapponese sul quantum computing. Il rapporto è anche militare. Gli Stati Uniti, attraverso il comandante delle forze militari statunitense in Giappone, Kevin Schneider, hanno annunciato a fine luglio di essere “assolutamente fermi nel loro impegno ad aiutare il governo del Giappone ad affrontare le incursioni cinesi senza precedenti nelle acque intorno alle isole del Mar Cinese Orientale”. Ad appesantire una situazione già precaria è arrivata la decisione del governo cinese di mettere fine al divieto di pesca tuttora vigente nel Mar Cinese Orientale: a partire dal 15 agosto tutti i pescherecci cinesi saranno autorizzati a pescare nella zona contesa, scortati dalle navi militari della guardia costiera.

A sostenere la necessità di rapporti ancora più stretti tra Tokyo e Washington è Kenneth Weinstein, direttore del think tank conservatore Hudson Institute e nominato dal presidente Donald Trump per l’incarico di ambasciatore in Giappone. In audizione al Senato, ha auspicato un ruolo di maggiore centralità del Giappone nell’alleanza militare tra i due Paesi: “In questo contesto di competizione strategica (con la Cina) nell’Indo-Pacifico, necessitiamo di un maggiore impegno (…), il Giappone deve fare di più”, ha dichiarato.

LA SVOLTA DEL GOVERNO

Il governo di Tokyo alcune settimane fa, nel pieno dell’emergenza coronavirus, aveva deciso di imprimere una svolta ai rapporti con la Cina, offrendo soldi alle aziende giapponesi disposte a ricollocare la produzione in patria. Obiettivo: limitare i rischi e rafforzare la sicurezza nazionale davanti all’economia predatoria di Pechino, scrive The Diplomat.

Ma c’è di più per il Giappone, che da alcuni mesi è entrato nell’orbita dei Five Eyes iniziando a condividere l’intelligence per monitorare la Corea del Nord. Il governo sta esaminando l’ipotesi di introdurre un nuovo, significativo mutamento nell’interpretazione del pacifismo sancito dalla Costituzione post-bellica del Paese, autorizzando la condizione di attacchi militari in territorio nemico con il solo obiettivo di intercettare imminenti attacchi balistici o aerei indirizzati contro il Giappone. Come riporta l’Agenzia Nova, la proposta è contenuta in una bozza di risoluzione del Partito liberaldemocratico (la formazione politica del primo ministro Shinzo Abe). Il documento invita a proseguire lo sviluppo della dinamica di “spada e scudo” nell’ambito dell’alleanza Usa-Giappone, creando al contempo un deterrente più forte contro le minacce alla sicurezza nazionale: ciò significherebbe non soltanto dotare per la prima volta il paese di mezzi di proiezione della forza militare, come missili da crociera; ma anche rafforzare gli apparati di intelligence, sorveglianza e ricognizione. A Pechino fischieranno le orecchie.

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