Per gentile concessione della Rivista di Studi Politici Internazionali diretta dalla professoressa Maria Grazia Melchionni, pubblichiamo un estratto del contributo di Giulio Terzi di Sant’Agata e Andrea Merlo, rispettivamente presidente e analista del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella”, sull’intelligence economica cinese apparso sull’ultimo numero della rivista
Da circa quarant’anni, quindi, la dottrina cinese dà quindi forma e sostanza ad un apparato che oggi rappresenta un sistema di intelligence economica proiettato al raggiungimento di obiettivi chiave nella strategia di conquista di ulteriori mercati, di investimento-produzione-vendita-acquisizione di materie prime, di consolidamento dei mercati esistenti o di nuova acquisizione (tramite una aggressiva diplomazia commerciale che risulterebbe arma spuntata senza il costante supporto dello spionaggio), di espansione delle capacità di tecnologia avanzata della propria industria nazionale e di erosione di quote di mercati mondiali a scapito dei concorrenti.
Tutto questo riveste primaria importanza per le finalità politiche e strategiche che la Cina pensa di poter ottenere sganciando i ‘Paesi target’ dalle esistenti alleanze politico-militari. Obiettivi prioritari per Pechino sono i Paesi strategici per posizione geografica, capacità tecnologiche, dimensioni economiche; magari con affiliazione politiche o simpatie di loro élites verso il Partito Comunista cinese. Ed è in questo quadro che si colloca il conflitto, solo apparentemente commerciale ma soprattutto tecnologico, sviluppatosi negli ultimi anni, e che ha visto come contendenti dichiarati e frontali Washington e Pechino.
Al centro della competizione, sta una sigla ormai familiare per tutti: il 5G, rete ICT di ultima generazione in via di dispiegamento su scala mondiale, che preoccupa Stati Uniti e parimenti tutti i Paesi e Governi consapevoli dell’importanza senza pari dell’Alleanza Atlantica per la sicurezza dei loro cittadini, saldamente agganciata al paradigma della democrazia liberale. Aldilà delle posizioni che si fronteggiano, è dovere e interesse del nostro Paese sottolineare come la battaglia sulla rete di quinta generazione sia il caso più emblematico e rilevante nella strategia di potenza di Pechino
E’ il caso in cui gli elementi fondamentali della sua dottrina di intelligence economica trovano tutti insieme riscontro: definitivo consolidamento in mercati esteri; erosioni di fette di mercato nel segmento high-tech; approfondimento indiretto delle capacità nazionali nell’ICT (grazie alla possibilità di testare le proprie strutture tecnologiche su quantità sempre più enormi di dati, dando alimento essenziale alla tecnologia di high performance computing, anche quantistico); potenzialità di impiego in chiave anche offensiva del mezzo informatico-comunicativo (con utilizzi ad ampio spettro, dallo spionaggio- controspionaggio economico a quello più tradizionale ma non meno importante, nel campo cioè politico e militare).
Al settore dell’ICT quale branca di primaria importanza nel mondo odierno, fa da specchio idealmente un’altra branca la cui rilevanza, in termini duali, di potere geoeconomico e di capacità di intelligence: il settore dello Spazio. Come l’informatica e la comunicazione, infatti, anche lo spazio può essere presentato – come astutamente è riuscita a fare da anni Pechino- come un territorio tutto sommato soft, non conflittuale, di cooperazione, collaborazione, scambio di esperienza, dialogo, tra la Repubblica Popolare e il resto del mondo. Lo spazio, pensano ancora oggi alcuni, ha oramai più le caratteristiche del pacifico che del bellicoso, più del civile che del militare. È tuttavia, questa, convinzione completamente erronea ed estremamente pericolosa. Le attività spaziali e gli asset che materialmente concorrono a rendere un Paese una potenza spaziale non possono in alcun modo separare l’utilizzo puramente ‘pacifico’ di tali tecnologie da quelle militari: ancor più se riflettiamo sulla ‘fusione civile-militare’ di ogni fattore rilevante per le ambizioni di dominio globale nutrite dalla Cina comunista. La dualità civile-militare nello spazio convive perfettamente. In coerenza con la sua strategia dual use, Pechino da decenni sfrutta a fondo questa strada con iniziative di collaborazione scientifica e tecnica molto intense, che solo l’ingenuità e la sottovalutazione (o la complicità) possono far credere abbiano scopi puramente “pacifici”. Al contrario, ogni avanzamento in termini di capacità spaziale affina gli strumenti che Pechino intende padroneggiare quanto prima possibile per aggiungerli al proprio arsenale, anche di intelligence. Basti pensare ai satelliti dedicati alle comunicazioni, fondamentali per l’ottenimento di una rete ICT autonoma e sicura, imprescindibile nella competizione asimmetrica, o ai sistemi anti satellitari —ASAT.
E quand’anche, come nel caso delle attività spaziali a fini scientifici, il payload di un satellite non portasse con sé, fuori dall’atmosfera, alcuna tecnologia direttamente duale, è più che doveroso interrogarsi sulla delicatezza degli asset scientifici che, in caso di collaborazioni internazionali, vengono condivisi con un paese non-atlantico, nonché sulle ripercussioni negative sulla collocazione politico-scientifica e tecnologica del nostro Paese. La tradizionale, assai proficua collaborazione in corso da decenni tra l’Agenzia Spaziale Italiana e la NASA (con, in mezzo, un consistente ed apprezzatissimo indotto scientifico e industriale nazionale a beneficiarne consistentemente), potrebbe essere messa seriamente in discussione a causa della collaborazione instauratasi proprio in questo campo tra Roma e Pechino, e giudicate a buon diritto eccessivamente intense dai partner atlantici.
Le collaborazioni con Pechino nei settori delle scienze di base, in precedenza un po’ fuori dai radar delle agenzie di informazione e sicurezza alleate, vengano fatte oggetto di più attenta considerazione da parte dei decisori politici nazionali, dei sistemi di intelligence e degli stessi operatori scientifico-accademici coinvolti. Seguitare nella illusione che la scienza, e le STEM in particolare, costituiscano terreno di incontro e cooperazione all’insegna della pacifica amicizia e del mutuo beneficio, a prescindere dalla natura e dagli obiettivi politici ed economici del sistema in cui vive ed opera la controparte, corrisponde ad una concezione imperdonabilmente naïf non solo e tanto della scienza, quanto piuttosto delle dinamiche del potere politico, e dell’intelligence che ne è la prima interprete.