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Gli Usa bollano gli Istituti Confucio come “missioni straniere”. E l’Italia?

Hong Kong, Taiwan, il 5G e ora gli Istituti Confucio. Con l’ultima mossa destinata ad alimentare le tensione tra Stati Uniti e Cina, l’amministrazione Trump ha messo nel mirino quelli che il South China Morning Post definisce un “importante strumento” nelle mani di Pechino “per promuovere la sua immagine e il suo soft power”. Il dipartimento di Stato annuncerà oggi che gli Istituti Confucio negli Stati Uniti — molti dei quali hanno sede nei campus universitari — dovranno registrarsi come “missioni straniere”.

Lo anticipa Bloomberg spiegando che tale “designazione equivarrebbe a concludere che gli Istituti Confucio sono ‘sostanzialmente posseduti o effettivamente controllati’ da un governo straniero. Ciò li sottoporrebbe a requisiti amministrativi simili a quelli previsti per ambasciate e consolati”. È la stessa azione intrapresa all’inizio di quest’anno nei confronti di diversi media cinesi tra cui China Central Television, l’agenzia Xinhua e i giornali People’s Daily e Global Times.

LA PRESENZA SCOMODA NEGLI USA

Sono 541 in totale gli Istituti Confucio e le Classi Confucio (strutture più snelle) in tutto il mondo, si legge sul sito dello Hanban, l’istituzione no-profit affiliata al ministero dell’Educazione di Pechino che li gestisce: negli Stati Uniti ci sono 81 Istituti (anche alla Stanford University) e 13 Classi. E sono ormai da tempo nel mirino dei “falchi” anticinesi al Congresso, tra cui il senatore repubblicano Marco Rubio che li ha definiti “programmi gestiti dal governo cinese, che utilizzano l’insegnamento della lingua e della cultura cinese come strumento per espandere l’influenza politica” di Pechino.

Tra i critici anche la National Association of Scholars che lamenta la mancanza di trasparenza nei finanziamenti e il divieto di trattare gli argomenti sensibili al governo cinese (come per esempio le “tre T” — Taiwan, Tiananamen e Tibet — ma anche la questione uigura e Hong Kong). La stessa associazione sottolineava a fine luglio — quando fu annunciata un’operazione di rebranding degli Istituti Confucio analizzata anche da Formiche.net — come oltre 40 college e università degli Stati Uniti abbiamo chiuso i loro Istituti Confucio dopo gli allarmi lanciati dall’FBI, dal dipartimento di Stato e da diversi membri del Congresso.

SPIE E PROPAGANDISTI

Ma c’è un’altra ragione dietro la mossa dell’amministrazione Trump: il rischio che gli Istituti agiscano da centrale di raccolta di informazioni sull’istituzione ospitante. Infatti, come ben illustrato recentemente dall’Espresso, “nonostante sia presentato come l’equivalente del British Institute o dell’Alliance Française, il Confucio ha una formula molto diversa. La sede all’interno di un’università nazionale, è una joint venture tra l’università e il governo cinese che, oltre a sponsorizzarne le attività, dettaglio cruciale, controlla ogni aspetto del programma, incluso il reclutamento degli insegnanti, giovani membri del Partito comunista, indottrinati da Pechino, come ha sottolineato Human Rights Watch qualche mese fa”.

“Soldi e privilegi per insegnanti e studenti in cambio di condizionamento”, ha sintetizzato all’Espresso il sinologo Maurizio Scarpari, che ha insegnato per 35 anni lingua cinese classica all’Università Ca’ Foscari di Venezia e che oggi è probabilmente l’unica voce critica nel mondo accademico italiano.

IL DIBATTITO IN ITALIA

Lo stesso professor Scarpari, intervistato da Formiche.net, spiegava che il rebranding dei Confucio non cambierà il dibattito in Italia: “Mi sembra non ci sia alcuna volontà da parte delle università che hanno Ic di ripensare di rimodellare il rapporto con lo Hanban. Non mi pare abbiano neppure la forza per poterlo fare: c’è un format stabilito dallo Hanban e non c’è alcun margine di trattativa”, dichiarava. Per capire i legami tra le nostre università e gli Ic basta seguire il denaro, scrivevamo. “Questi istituti portano soldi e in questo momento in particolare i soldi fanno comodo a tutti, nessuno vi rinuncerà facilmente. Le università che li chiudono lo fanno perché hanno deciso di non volere condizionamenti e che possono fare le loro attività con la Cina indipendentemente e meglio di quanto lo facciano attraverso gli Ic. Ma sono decisioni prese in nome delle libertà, a partire da quella di opinione: temi che non mi sembra ci siano nel dibattito italiano”, concludeva il sinologo.

(Foto: Hanban.org)



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