Il Re Juan Carlos ha lasciato la Spagna. Non si sa quando, con quale destinazione. La notizia non ha sorpreso gli spagnoli, che da anni guardano come la loro monarchia è travolta da scandali e indagini. Il premier Pedro Sánchez ha parlato in conferenza stampa per aggiornare il Paese su tanti argomenti importanti, e non ha potuto fare a meno di rispondere alle domande dei giornalisti sul caso del sovrano emerito.
“In questo Paese ci sono stati casi di corruzione e non è stato messo in discussione né il sistema dei partiti politici, né quello degli agenti sociali – ha dichiarato Sánchez -. Quello che si giudica non sono le istituzioni, ma si giudicano le persone. Don Juan Carlos ha detto di essere a disposizione della giustizia come qualsiasi altra persona. […] La Spagna ha bisogno di stabilità e di istituzioni robuste. In modo esemplare e trasparente e in questo caso la linea segnata dalla Casa Reale è quella adeguata”.
Anche questa è una posizione prevedibile, secondo Paloma Román, direttrice della Scuola Governo dell’Università Complutense di Madrid. In una conversazione con Formiche.net, la professoressa ha spiegato che l’esilio di Juan Carlos aprirà un dibattito e un incrocio di posizioni tra le forze politiche della coalizione, ma non metterà a rischio l’esecutivo: “È qualcosa che conviene ai due soci del governo. Ora Podemos accusa che non sono stati consultati, che è stata una scelta del Psoe e non del governo. Il Psoe si presenta come un partito a favore della stabilità, che dice che in momenti così duri abbiamo bisogno di istituzioni forti. Podemos invece critica perché ha un pubblico abbastanza repubblicano. Ognuno gioca il suo ruolo ma in pochi giorni finirà”.
Quel che resterà è il deterioramento della monarchia spagnola, che ne uscirà (forse) ancora più indebolito e screditato da questa vicenda del Re in esilio. “Il Paese è sconcertato – spiega Román -. I primi a mandare Juan Carlos all’estero sono stati il governo e il figlio, perché questa situazione li stava bruciando. La monarchia uscirà con molta difficoltà. […] Gli spagnoli sono molto arrabbiati con la monarchia. È vero che il padre non è il figlio, ma il figlio, il Re consente questa situazione da molto tempo, senza dare spiegazioni chiare”.
Secondo Román, il governo e la stessa famiglia reale hanno voluto prendere le distanze quanto prima per evitare che la situazione esplodesse. E l’hanno fatto ora, con una strategia informativa e di comunicazione, per sminuire l’importanza, “come quando il figlio gli ha tolto (al Re emerito) l’assegno economico il giorno dopo del decreto di stato di emergenza. Un altro momento di terribile confusione per il Paese”.
Anche se tecnicamente è possibile, la professoressa crede poco probabile che ci sia un referendum sulla monarchia spagnola, perché sono validi gli stessi argomenti del 1975: “I cosiddetti partiti dinastici, Psoe e Partito Popolare, non lo permetterebbero. Ma molte voci chiederanno qualcosa di simile. Il fatto di inviare Juan Carlos all’estero servirebbe proprio a quello, a fare abbassare i toni e che la gente si dimentichi. Ora è vero che abbiamo problemi più gravi, come la crisi economica derivata dalla crisi sanitaria. Prima dobbiamo preservare la nostra salute e le nostre economie, la monarchia sarà un tema secondario, anche se l’istituzione resta screditata”.
In questo panorama, le nuove sfide di Filippo VI sono tante: “La situazione del Paese è realmente difficile. Il tema sanitario è contenuto ma può scatenarsi in qualsiasi momento. Lo stato dell’economia è gravissimo. […] Alla critica abituale per i privilegi si aggiunge il deterioramento della monarchia in tutti questi anni, da quando il Re Juan Carlos è caduto con la caccia degli elefanti ad oggi. Il Re Felipe VI l’ha coperto, non ha dato spiegazioni, e quando ha preso posizione è stato con questa strategia di copertura, che aumenta lo scontento degli spagnoli”.