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In Libano l’Italia può contare. Perteghella (Ispi) spiega come

Nuova scossa nella scena politica del Libano. Il premier Hassan Diab dovrebbe annunciare a breve le sue dimissioni. Sebbene è difficile capire cosa succederà nel Paese mediorientale, il passo indietro del governo non assicura un miglioramento della situazione.

Le dimissioni dell’esecutivo arrivano sull’onda di una forte pressione della popolazione, che è scesa in piazza sabato scorso chiedendo un rinnovamento totale della leadership politica, da Hezbollah al presidente della Repubblica. Come spiega in una conversazione con Formiche.net Annalisa Perteghella, ricercatrice dell’Istituto per gli studi di politica internazionale per il Medio Oriente: “Fino a sabato scorso il primo ministro parlava di elezioni anticipate. Il fatto che si dimetta il governo non vuole dire che ci saranno elezioni anticipate, ma che bisognerà formare un nuovo governo”. Un compito che aspetta all’attuale Parlamento ed è una replica di quando è accaduto a gennaio, quando è stato formato questo esecutivo in seguito alle dimissioni di Saad Hariri.

“Non è detto quindi che vada meglio – sostiene Perteghella -, o che alla popolazione vada bene. Perché i libanesi chiedono una riforma in toto, quindi di fatto una piazza pulita totale. Per com’è fatto il sistema politico libanese, è un po’ un sistema feudale: ci sono queste quote riservate alle diversi religioni, e ognuna di queste si riconosce in una famiglia particolare. Sono sempre gli stessi nomi, che passano di padre in figlio, e questo non ha fatto altro che alimentare una corruzione”.

L’analista sottolinea il fatto che “il governo libanese sia da anni espressione di una classe politica totalmente autoreferenziale, che punta a conquistare e mantenere il potere e non a governare per il bene e gli interessi del Paese”.

In questo contesto, la comunità internazionale ha davanti a sé una grande opportunità. “È brutto dirlo, ma può condizionare gli aiuti e le riforme del sistema – spiega Perteghella -.  Se l’alternativa è dare aiuti a pioggia nell’attuale sistema, penso che l’80% verrebbero ancora una volta accaparrati dai vari gruppi politici libanesi, che molto difficilmente arriverebbero ad essere usati per il bene del Paese e della popolazione”. La grande sfida, quindi, è gestire l’assistenza e gli aiuti “in modo che non vadano a lanciare un’ancora di salvataggio alla classe politica, ma servono effettivamente per attuare le riforme”. Il rischio regionale e globale, è che questi aiuti non gestiti in maniera efficace alimentino un sistema clientelare e corrotto, invece di essere usati per ricostruire il Paese.

Nella gestione della crisi libanese, la Francia è la grande protagonista, rispetto agli altri Paesi membri dell’Unione europea. “Macron è arrivato a Beirut il giorno dopo le esplosioni – sottolinea Perteghella -. È un po’ naturale, giacché il Libano era protettorato francese, e i legami sono rimasti molto forti. Ma proprio per questo passato coloniale, molti hanno accolto Macron come salvatore, e molti altri libanesi si sono sentiti umiliati. Il Libano nasce con questo ‘peccato originale’ del settarismo, ma in questo la politica coloniale francese ha una grande responsabilità, per avere creato e alimentato questo sistema”.

L’Italia però non ha questa reputazione negativa, per cui avrebbe un ruolo importante da giocare come mediatore. “La linea della politica italiana, tradizionale, è parlare sempre un po’ con tutti – sostiene l’esperta -. In passato, quando D’Alema era ministro degli Esteri, incontrò membri di Hezbollah. In questo momento in cui c’è bisogno di dialogare con tutte le forze politiche libanesi, per cercare di convincerla a farsi da parte, e accettare una profonda riforma del sistema, l’Italia può giocare un ruolo importante”.

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