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Libano e Venezuela. Due crisi (simili) a confronto

Così lontani ma, purtroppo, così simili. Libano e Venezuela condividono un quadro economico e sociale molto preoccupante. Mentre a Beirut scoppiano gli scontri dopo l’esplosione di ieri, a Caracas la pandemia contiene (chissà per quanto) lo scontento popolare.

La scorsa settimana l’agenzia di rating Moody’s ha declassato il Libano, abbassandolo a categoria “C”, il giudizio più basso che esiste. “Una posizione peggio del Venezuela”, cioè, terribile, secondo molti analisti. Per Moody’s, la valutazione risponde alle perdite dei detentori di obbligazioni libanesi pari a oltre il 65%.

A marzo, prima che scoppiasse la pandemia Covid-19 nel mondo, il premier libanese Hassan Diab ha annunciato il default del Paese, per impossibilità di rimborsare obbligazioni in valuta straniera pari a 1,2 miliardi di dollari. A maggio, il governo ha avviato i negoziati con il Fondo monetario internazionale per un eventuale salvataggio, ma per ora non ci sono stati progressi nella trattativa. La svalutazione della lira libanese sul dollaro è pari all’80%, e l’inflazione è arrivata al 90% a giugno, mentre alla fine del 2019 era contenuta a 6,7%. Secondo i report di Credit Libanais, il costo di alimenti e vestiti è aumentato del 190% l’anno scorso.

Come ricorda il sito Investireoggi.it, il Libano è il terzo Paese al mondo più indebitato, dopo Giappone e Grecia: “E circolano così pochi dollari, che le importazioni di beni dall’estero si fanno sempre più difficili e sugli scaffali dei supermercati da tempo scarseggia un po’ di tutto, dando vita a scene molto simili a quelle del Venezuela degli ultimi anni. La radice del problema è la stessa: il cambio fisso irrealistico, in quanto troppo forte”.

Quest’approccio finanziario ha provocato molti danni all’economia libanese, “rendendola per nulla competitiva e prosciugando le riserve della banca centrale”. Gli esperti sostengono che è necessario consentire ai libanesi di scambiare lire con dollari al tasso reale del mercato. “Solo così si porrebbe fine alla carenza di beni diffusa, anche se ciò inevitabilmente condurrebbe a un ulteriore aumento dell’inflazione – si legge sul sito -. Peraltro, il caso Venezuela ci dimostra che l’alternativa consisterebbe nell’assistere passivamente al graduale scivolamento verso l’iperinflazione, fenomeno che sarebbe già iniziato a materializzarsi nel Libano con tassi di crescita mensili dei prezzi superiori al 50%, secondo qualche stima indipendente”.

In Libano, quindi, l’economia è di fatto “dollarizzata”, come tra l’altro succede in Venezuela. I tentativi del regime di Nicolás Maduro di frenare l’inflazione nel Paese sudamericano sono stati azzerati dalla mancanza di benzina e dal crollo del cambio della moneta locale con il dollaro. Dopo essere arrivata ad un picco nel 2018 di 1.800.000 %, secondo i dati ufficiali, l’inflazione si è leggermente ridotta grazie alla flessibilizzazione del controllo dei prezzi da parte del regime.

Gli ultimi dati riguardano il primo trimestre del 2020, in cui il Venezuela ha accumulato un’inflazione del 508,47%. José Guerra, membro della Commissione Finanza del Parlamento venezuelano ha spiegato all’agenzia Efe che il Paese registra “un’accelerazione del ritmo con il quale stanno aumentando i prezzi in Venezuela […] e risponde alla svalutazione della moneta nazionale negli anni”.

Il Libano è diventato il primo Paese del Medio Oriente e del Nord Africa che soffre un aumento di prezzi di beni e servizi. In linea con il Venezuela, esempio internazionale di iperinflazione, secondo Steve H. Hanke, docente di Economia applicata all’Università Johns Hopkins. In un’intervista al sito Noticias Israel, l’esperto spiega che “le cause nascoste dell’inflazione sono sempre le stesse. I governi cominciano con il deficit fiscale sempre maggiore e chiedono alla banca centrale di finanziare questi deficit perché le vie di finanziamento delle tasse e bonus sono inadeguate. È nelle iperinflazioni, le banche centrali devono finanziare virtualmente tutte le operazioni fiscali del governo”.



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