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Missioni per la Libia. Cosa blocca la cooperazione tra Irini (Ue) e Sea Guardian (Nato)

L’impegno europeo per la stabilizzazione della Libia passa anche dal mare, e in particolare dalla missione Irini, operativa da maggio per garantire l’embargo di armi stabilito dall’Onu. Secondo gli esperti, potrebbe accrescere la propria capacità operativa attraverso la collaborazione con l’operazione Sea Guardian della Nato, che già cooperava con Sophia. Il problema è che l’intesa passa dal “consensus” tra tutti i membri dell’Alleanza Atlantica, e quello della Turchia non è ancora arrivato. Ora la questione si intreccia con la crisi nel Mediterraneo orientale, ulteriore gatta da pelare per il quartier generale della Nato. Non potendo sedere al tavolo dell’Ue (dove la Grecia propone sanzioni), Ankara si gioca le proprie carte su quello dell’Alleanza. Eppure, la cooperazione tra i due impegni potrebbe andare proprio nella direzione che piace ai turchi. Ma andiamo con ordine.

L’INSOFFERENZA TURCA

La Turchia è da sempre critica nei confronti della missione europea Irini poiché la ritiene un fattore di sostegno indiretto al leader della Cirenaica Khalifa Haftar, il quale resterebbe in grado di ricevere armamenti via terra dall’Egitto per il confronto libico con il Governo di accordo nazionale (Gna) guidato da Fayez al Serraj, che Ankara sostiene. Per questo continua a essere in dissenso con eventuali collaborazioni con Sea Guardian. Per questo, dunque, non sono arrivate novità sul dossier martedì scorso (sebbene se ne attendevano), quando i ministri della Difesa dell’Ue si sono ritrovati a Berlino. Con loro anche il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg: “L’Alleanza ha fornito supporto alla precedente missione dell’Ue nel Mediterraneo, Sophia; ora stiamo cercando il modo di collaborare con la nuova missione, ma non c’è nulla di nuovo su questo oggi”. Parole pressoché identiche a quelle di metà giugno durante la ministeriale Difesa della Nato: “L’Ue ora ha cessato Sophia e ha dato vita ad Irini. Ci sono contatti e considereremo la possibilità di sostegno e di cooperazione, ma non sono state prese decise; ci sono dialogo e contatti per affrontare questo tema”.

ESPERIENZE PASSATE

In un’intervista pubblicata oggi dal mensile britannico Warships International Fleet Review, l’ammiraglio Fabio Agostini, comandante di Irini, ha spiegato che “Ue e Nato sono soliti lavorare insieme”. Sophia e Sea Guardian, ha aggiunto, “hanno cooperato efficacemente; attualmente sono in corso discussioni per stabilire una simile intesa per la cooperazione tra Irini e le operazioni Nato”. Per Sophia, la collaborazione consisteva nel supporto da parte di Sea Guardian, con riferimento “alla condivisione delle informazioni, al sostegno logistico e all’implementazione della risoluzioni Onu 2357 (l’embargo di armi sulla Libia)”, ricorda la Nato in una nota.

LA POSIZIONE ITALIANA

Ora si punta a trasferire quell’esperienza nella logica cooperativa con Irini, previo superamento del nodo turco. L’Italia supporta tale prospettiva, lavorando per mostrare la missione dell’Ue come impegno “bilanciato ed equidistante” rispetto alle parti in conflitto sul territorio libico, concetto ribadito ad Ankara da Lorenzo Guerini al collega turco Hulusi Akar a inizio luglio. Un quadro che sarebbe ancora più convincente con la cooperazione con Sea Guardian, proprio a dimostrare che Irini non nasce in ottica anti-turca. Per la Penisola, spiegava il ministro Luigi Di Maio a Stoltenberg in un incontro di fine luglio, è importante garantire “la piena operatività” della missione Nato, “auspicando forme di collaborazione con la missione Eunavfor-Med Irini”. D’altra parte, Farnesina e ministero della Difesa lavorano da tempo per dotare Irini di più assetti per operare in mare, in linea con il consenso politico che l’operazione a riscosso al suo lancio. Il rafforzamento (in termini di assetti disponibili) è “uno degli elementi su cui si gioca la credibilità e il ruolo dell’Europa nella crisi libica”, ha detto Guerini ai colleghi dell’Ue pochi giorni fa.

GLI ASSETTI DISPONIBILI

Da qualche settimana si è unita all’operazione Irini la fregata tedesca Hamburg, aggiungendosi alla collega greca Spetsai, a Nave San Giusto della Marina italiana (flagship) e a diversi aerei per la ricognizione e la sorveglianza. Non partecipa più la fregata francese Jean Bart, che invece aveva inaugurato le operazioni di Irini a inizio maggio. Nave San Giusto è arrivata a metà luglio con a bordo il contrammiraglio Ettore Socci, comandante degli assetti navali e aerei. L’unità italiana sarà flagship dell’operazione fino alla metà di ottobre, quando verrà sostituita da un’unità greca. A bordo Nave San Giusto schiera una “Role 1 medical facility”, destinata a compiti di assistenza sanitaria, un elicottero multiruolo EH 101 e un team della Brigata San Marco in grado di effettuare manovre “non-compliant”, cioè di abbordare anche in caso di atteggiamento non cooperativo da parte del mercantile da ispezionare.

EMBARGO E ATTIVITÀ

Come spiegato dal comandante Agostini a Warships IFR “il 5 giugno il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha adottato la risoluzione 2526 (2020) che estende l’autorizzazione di ispezionare le unità in alto mare a largo delle coste libiche che sono sospettate di violare l’embargo”. Secondo la delibera approvata dal Parlamento, l’Italia può impegnare nell’operazione un dispiegamento massimo di 500 militari. Oltre a Nave San Giusto, il nostro Paese ha già destinato all’operazione Irini un drone per operazioni di sorveglianza, e le basi logistiche di Augusta, Pantelleria e Sigonella. In più, un aereo P72 da pattugliamento marittimo, un velivolo per l’Air early warning (Aew) e un sottomarino “saranno disponibili occasionalmente in supporto”, spiega una nota del comando dell’operazione.

L’OPERAZIONE NATO

È chiaro che la collaborazione con Sea Guardian darebbe ulteriore spinta alla piena capacità di Irini. Come spiegato a inizio agosto da Maurzio Geri dell’Euro-Gulf Information Centre, “gli assetti della Nato fornirebbero a Irini informazioni cruciali sul traffico terrestre e aereo che la missione europea non è ora in grado di ottenere, e di esporre così le violazioni dell’embargo di altri Paesi via terra e via aerea”. Proprio questa potrebbe essere la narrativa vincente per convincere i turchi. Le informazioni derivanti dagli assetti Nato permetterebbero difatti a Irini di capire di più di cosa accade dal lato della Cirenaica, acquisendo inoltre consapevolezza sulle rotte aeree da Siria e Russia (obiettivo che piace alla Nato). Sea Guardian si configura come forza marittima multinazionale composta da unità navali e aeree di diversi Paesi dell’Alleanza. Risponde al Comando marittimo alleato (MarCom) con sede a Northwood, nel Regno Unito e ha l’obiettivo di condurre operazioni di sicurezza marittima, a cui si affiancano i compiti di lotta al terrorismo in mare, contributo alla formazione delle forze di sicurezza dei Paesi rivieraschi, alla garanzia della libertà di navigazione, e operazioni di interdizione marittima e di contrasto alla proliferazione delle armi di distruzione di massa e di protezione delle infrastrutture sensibili.

LA LOTTA AL TERRORISMO

Lanciata durante il summit Nato del 2016, ha raccolto l’eredità di Active Endeavour, partita nell’ottobre del 2001 per sorvegliare il Mediterraneo orientale su attivazione della clausola della difesa collettiva (art. 5 del Trattato nord atlantico) in seguito agli attentati dell’11 settembre. Dal 2004 Active Endeavour ha esteso il campo d’azione a tutto il Mediterraneo, lasciandolo poi in dote a Sea Guardian, uscita dall’articolo 5, ma comunque focalizzata sulle medesime finalità. Vi partecipa anche l’Italia. La delibera sulle missioni per il 2020 prevede un impiego massimo di 280 unità, con un sottomarino, una unità navale e due unità aeree. Come precisato dal governo “per il 2020 il contributo nazionale prevede l’incremento di un assetto navale per l’attività di raccolta dati e l’attività di presenza e sorveglianza navale nell’area del Mediterraneo orientale”.

IL NODO TURCO

Considerando l’ipotesi di collaborazione tra Sea Guardian e Irini, non sembrano casuali i problemi sperimentati da entrambi gli impegni negli ultimi mesi con navi della Turchia. A giugno, la fregata francese Courbet, flagship dell’operazione Nato Sea Guardian, veniva illuminata per tre volte dal puntatore laser del sistema lanciamissili di una delle navi da guerra della Marina turca, in quel momento impegnato a scortare un’unità cargo (sempre turca) diretta verso un porto libico. L’episodio ha scatenato l’ira francese, conducendo il presidente Emmanuel Macron a rispolverare l’accusa di “morte cerebrale”. L’ira transalpina è stata infatti portata in sede Nato. Lì non ha ricevuto l’interesse desiderato, tanto da spingere la Francia a sospendere “temporaneamente” la partecipazione a Sea Guardian. Per quanto riguarda Irini, già a inizio giugno la scorta imponente di fregate turche impediva alle navi di Irini di ispezionare il mercantile Cirkin.

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