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Sulla Libia l’Italia ha un (altro) problema: il sentiment del popolo

Di Giovanni Lippa

La destituzione di Gheddafi a ottobre del 2011, il cui regime aveva tenuto per anni sotto controllo le diverse anime del Paese, ha aperto la strada alla seconda guerra multilaterale per procura dell’era contemporanea, solo un po’ meno devastante di quella siriana. Il sostegno militare della Turchia da una parte, e la recente risposta egiziana dall’altra, con l’autorizzazione all’invio di truppe sul campo, sono solo l’ultimo tassello nel drammatico mosaico libico, di cui non si intravvedono appieno né i protagonisti, né i contorni. Si tratta, come nel caso della Siria, di uno scenario drammatico, su cui solo la storia potrà, negli anni a venire, alzare il velo di ipocrisie e di inconfessabili interessi, che hanno portato morte e devastazione a due Paesi e a due popoli amici dell’Italia.

IL RAPPORTO DI ROMA CON TRIPOLI

C’è da chiedersi, però, se l’atteggiamento italiano sia stato, e sia in linea, con questa storica amicizia, tanto in ambito politico quanto commerciale. Vi era, almeno fino a qualche anno fa, un patrimonio umano di relazioni privilegiate che consentiva, a livello politico e commerciale, di sopperire al minor peso che l’Italia poteva vantare, sullo scacchiere mondiale, rispetto alle grandi potenze. Col crollo del regime di Gheddafi questo universo relazionale si è frammentato e allargato, in parte per il maggiore dinamismo di altre nazioni, in parte per l’emersione di fattori distorsivi del precedente equilibrio territoriale e tribale. Nella nuova geografia libica, l’Italia ha ritenuto di mantenere la stessa postura assunta in politica interna: cercando di non prendere mai una posizione troppo definita e strizzando l’occhio a colui che, nelle varie fasi, sembrava più vicino a gestire il potere. Questa strategia, più volte attuata nella storia della nostra nazione, finisce sempre e inevitabilmente con l’attirarci antipatie e risentimenti.

IL SENTIMENT DEL POPOLO LIBICO

Cosa si sarebbe aspettato, invece, il popolo libico dagli italiani? In primis vicinanza, data la prossimità territoriale, e poi riconoscenza, visto il contributo che gli investimenti libici hanno dato nel tempo a grandi imprese del nostro Paese. Perfino le recenti polemiche sulla guardia costiera libica hanno infastidito molto l’opinione pubblica locale. Perché la tratta degli esseri umani è un problema che il popolo libico subisce passivamente sul proprio territorio, provocato in gran parte dalla destabilizzazione dell’intera area, operata (anche) da quei governi occidentali che alcuni di noi considerano tuttora illuminati e progressisti.

UN LEGAME CHE VA MANTENUTO VIVO

La questione libica andrebbe invece approcciata con grande pragmatismo e minore creatività politica: c’è da tenere in piedi e ricostruire un Paese, che da ricco si è ritrovato in guerra, in cui le forniture interne di elettricità e di gas sono sempre meno efficienti. Il popolo, che ha visto peggiorare drammaticamente le condizioni di vita, si sente depredato e invaso dagli stranieri, non ultimi quei miliziani portati a forza sul fronte libico e che ora vorrebbero imporre il proprio estremismo religioso. Le nuove generazioni libiche, che guardano al mondo intero come punto di riferimento, perdono via via il legame privilegiato con l’Italia, al contrario di quelle generazioni che, anche dopo la Rivoluzione, non hanno mai dimenticato di aver vissuto gomito a gomito con tanti italiani. O come i tanti funzionari libici che considerano tuttora Roma una tappa fondamentale nei loro viaggi all’estero, personali e d’affari. Per non perdere definitivamente questo patrimonio relazionale che ci lega alla Libia e al suo popolo, bisogna agire più incisivamente, mettendo da parte i motteggi di politiche machiavelliche.

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