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Ecco perché Maduro vuole (dall’Italia) l’ex ministro del Petrolio venezuelano

Il regime di Nicolás Maduro in Venezuela è impegnato in un nuovo caso di estradizione. Dopo la richiesta di consegna dell’imprenditore colombiano Alex Saab, arrestato a Capo Verde con l’accusa di corruzione e riciclaggio, ora vuole anche l’ex ministro del Petrolio, Rafael Ramírez, che si trova in Italia.

Così, dopo la richiesta di estradizione dell’imprenditore colombiano Alex Saab, arrestato a Capo Verde per un mandato dell’Interpol con l’accusa di corruzione e riciclaggio da parte degli Stati Uniti, ora il governo di Maduro ha un altro caso internazionale tra le mani, quello di Ramírez. Il Tribunale Supremo di Giustizia del Venezuela ha approvato la possibilità di chiedere al governo italiano l’estradizione dell’ex ministro del Petrolio, già direttore della statale petrolifera Pdvsa dal 2004 al 2013.

Con un comunicato, il tribunale ha annunciato che chiederà l’estradizione per far sì che Ramírez sia sottoposto ad un processo penale in Venezuela in risposta alle accuse di “peculato doloso, evasione e associazione a delinquere”.

“La sentenza N° 55-2020 – si legge nel documento – sottolinea l’impegno davanti alla Repubblica italiana perché questo cittadino sia processato per questi reati, con le garanzie della Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela”.

Ugualmente, il documento spiega che una volta in Venezuela Ramírez potrebbe essere processato secondo gli articoli 54 e 60 della Legge contro la corruzione e dell’articolo 37 della Legge contro la delinquenza organizzata e finanziamento al terrorismo”.

La denuncia formale contro l’ex ministro venezuelano è stata presentata dal deputato chavista Luis Parra Rivero, che ha sollevato una situazione irregolare, che risale alle decisione di Ramírez, su prezzi scontati nei contratti tra l’impresa venezuelana Pdvsa e la petrolifera dell’Arabia saudita Petrosaudi.

Ramírez è stato uno dei principali collaboratori del presidente Hugo Chávez e a lui si attribuisce la politica petrolifera del Paese sudamericano fino all’arrivo di Nicolás Maduro alla presidenza. Ramírez considerato anche il padre del programma Petrocaribe, con cui il Venezuela ha “donato” migliaia di barili di petrolio ai Paesi alleati della regione.

Ramírez si è allontanato definitivamente dal governo socialista venezuelano alla fine del 2017, quando si è dimesso – per richiesta dello stesso Maduro – dall’incarico diplomatico alle Nazioni Unite. Da quel momento sono cominciate le accuse contro il regime.

A gennaio del 2018, la Procura generale del Venezuela annunciò che avrebbe emesso un ordine di cattura contro Ramírez, anche se non si sapeva il luogo di residenza in quel momento. “Senza piagnucolare cittadino Ramírez – aveva dichiarato il procuratore generale, Tarek William Saab – nei prossimi giorni noi chiederemo il suo arresto con l’allerta rossa per riciclaggio e peculato doloso”. Sul caso non ci sono stati aggiornamenti, tranne il coinvolgimento di Ramírez in un processo di riciclaggio nella Banca Privata di Andorra insieme a suo cugino ed ex funzionario dello Stato venezuelano, Diego Salazar Carreño.

Secondo il sito di inchiesta Primer Informe, è grazie alle “abilità” di questo cugino di Ramírez che molto denaro del regime venezuelano è stato riciclato in Europa e poi portato in paradisi fiscali in Belize, Panama e le Isole Vergini.

“Circa 100 compagnie sono state usate per nascondere i frutti della corruzione chavista nella gestione di Pdvsa ai tempi in cui Rafael Ramírez era presidente della statale petrolifera e ministro del Petrolio di Hugo Chávez  – si legge sul sito -. Una mafia di ex ministri collaborò per sviare circa 2 miliardi di euro di quella che fu un’impresa redditizia”.

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