Ci sono antipatie che fanno giri immensi e poi ritornano. Viene facile parafrasare la nota canzone del romanissimo Antonello Venditti, ma la verità è proprio questa.
Il Movimento Cinque Stelle considera Giovanni Malagó, numero uno dello sport italiano, una specie di nemico personale. Un innominabile.
Non che la profonda disistima non sia ricambiata, anzi. Il presidente del Coni non ha mai nascosto di aver vissuto come un’offesa personale, oltre che alla città, il rabberciato No alle Olimpiadi del 2024 della giunta Raggi. In qualche misura, anche una questione a tu per tu con il sindaco della capitale.
Quanto al Movimento, non si discute e non si transige: Malagó resta uno dei classici emblemi del potere, contro il quale i pentastellati hanno costruito tutta la loro narrazione. E pazienza se questa abbia poi avuto scarsissima attinenza con la realtà e con le scelte fatte.
Proprio il No alle Olimpiadi è forse l’unico fra i tanti strombazzati a destra e sinistra ad aver resistito alla prova del tempo, del governo e dell’amministrazione.
Dalla Tav al Tap, passando dal ‘partito di Bibbiano’ allo streaming ormai totalmente dimenticato, il Movimento Cinque Stelle ha dovuto rinnegare praticamente tutte le proprie granitiche convinzioni, con l’unica eccezione di quell’improvvido e sciaguratissimo No ai Giochi.
Resistette, perché in un momento di grillismo ancora trionfante, non dovette fare i conti con la realtà e con il rinsavimento della pubblica opinione. Oggi, lo possiamo dire: fu una sciocchezza incredibile, che Roma pagherà per anni. Allora, però, si era ancora disposti a credere agli asini che volano e che la spazzatura sarebbe sparita dalle vie della capitale soffiata via dal vento dell’onestà.
Tornando ad oggi, deve risultare insopportabile che un alto esponente del Movimento, come il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, possa avere inserito una norma brutalmente definita salva-Malagó, nella sua riforma dell’attività sportiva in Italia.
Tutto e tutti, ma non Malagó. Tanto è vero che il partito si è rivoltato contro il suo stesso ministro e che quest’ultimo ha dovuto minacciare di piantare baracca e burattini, per poter essere almeno ascoltato.
La sensazione è che tutto potrebbe finire mestamente all’italiana: riforma rinviata, Malagò al suo posto (difficile giubilare l’uomo, che dopo il disastro di Roma 2024 è riuscito a portare a casa il miracolo di Milano-Cortina 2026), Spadafora pure, problemi non affrontati. As usual, a Roma.