Se parte una scintilla, scoppia l’incendio. È la situazione nel Mediterraneo orientale secondo l’ammiraglio Ferdinando Sanfelice di Monteforte, esperto militare, professore di Studi strategici e autore con Laura Quadarella del libro “Il mondo dopo il Covid-19” (Mursia, 2020). Lo abbiamo raggiunto per capire cosa sta succedendo nel mare nostrum dell’est, ormai in preda a un’escalation che non sembra arrestarsi. L’Unione europea, guidata dalla Germania di Angela Merkel, tenta la mediazione tra Ankara e Atene, pur conservando al suo interno linee diverse nei confronti dei turchi (più dura quella francese). Anche la Nato è impegnata sulla linea del dialogo (Jens Stoltenberg è oggi a Berlino), così come gli Stati Uniti che, nonostante la corsa a Usa2020, sono intervenuti nella notte italiana con le due telefonate di Donald Trump al premier Kyriakos Mitsotakis e a Recep Tayyip Erdogan. Eppure, il presidente turco resta determinato. Ankara ha annunciato per la prossima settimana esercitazioni d’artiglieria in mare, mentre oggi proseguono le manovre congiunte tra Cipro, Grecia, Francia e Italia.
Ammiraglio, costa sta succedendo nel Mediterraneo orientale?
È molto semplice. Come emerge da numerosi fonti, la Turchia è ormai prossima alla bancarotta. Non è la prima volta che accade. Nel 1875, il mondo dei creditori creò per questo il famoso Comitato di amministrazione del debito pubblico, che riscuoteva le tasse nell’impero ottomano, ripagava il debito e lasciava l’avanzo al governo. Oggi un nuovo fallimento sembra vicino, ragion per cui Ankara sta cercando di arraffare tutto l’arraffabile.
Parla di gas e petrolio?
Certamente. Le riserve nel Mar Nero non sono un problema, lì Russia e Turchia si mettono sempre d’accordo, magari con qualche dispetto e picco di tensione, ma riescono sempre a dividersi il potere. Il problema, ovviamente, è il Mediterraneo orientale. Se la Turchia non arraffa gran parte di quanto vuole, non riuscirà a risollevarsi. Mai sottovalutare un avversario disperato. La situazione attuale è così delicata perché uno dei contendenti è in crisi.
E la Grecia?
Ecco un altro problema: dall’altra parte, sin dal trattato di Lisbona, Ankara non trova la Grecia, ma l’Unione europea. Il primo colpo di cannone provocherebbe uno stato di guerra tra la Turchia e l’Ue, e questa è un’altra cosa rispetto al passato. Non possiamo più descriverla come la solita crisi tra greci e turchi, come ce ne sono state tante nella storia. Non è un caso che una nave della Marina militare italiana stia conducendo esercitazioni con i greci dopo averlo fatto con i turchi. L’obiettivo, ovviamente, è anche proteggere gli assetti dell’Eni che in quelle acque operano.
Veniamo alle esercitazioni. Non rischia di confondere che l’Italia si eserciti con Cipro, Grecia e Francia poco dopo averlo fatto con la Turchia?
No. Anzi, è proprio il tentativo di mostrare che l’Italia è pronta, come sempre fatto in passato, a essere grande mediatrice di situazioni di conflitto per evitare che si arrivi a scenari drammatici. L’Italia sta facendo bene, sicuramente meglio della Francia, più dura nell’appoggiare le posizioni della Grecia. Il problema è che, nel caso in cui parta il famigerato colpo di cannone, tutti i membri dell’Ue si dovranno adeguare alla linea greca.
La linea italiana sembra convergere con quella tedesca. La Germania di Angela Merkel è protagonista da alcune settimane del rinnovato attivismo europeo sul dossier e di un tentativo di mediazione.
È vero. Italia e Germania stanno cercando di fare la stessa cosa, proprio per la consapevolezza che in caso di scontro dovranno allinearsi agli altri in aperta ostilità nei confronti della Turchia. Si sta cercando di prevenire la crisi. La politica italiana è da sempre tesa a prevenire o a calmare le crisi. Dobbiamo essere orgogliosi, ad esempio, di avere permesso all’epoca i contatti tra statunitensi e nord-vietnamiti.
Tra l’altro, oggi a Berlino la Merkel ha incontrato il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. Come affronta l’Alleanza una crisi tra due suoi membri?
Ne soffre e ne soffrirà ancora a lungo. Non è la prima volta. Nel 1974, quando i turchi invasero Cipro nord, l’Alleanza Atlantica era esattamente nella stessa situazione odierna. Soffre della crisi e cerca, per quanto possibile, di promuovere il dialogo.
E gli Stati Uniti? Nella notte italiana Trump ha chiamato il premier greco e il presidente turco con lo stesso obiettivo.
Gli Stati Uniti hanno tenuto finora un profilo piuttosto basso. Non c’è da meravigliarsi, considerando che sempre, nei sei mesi che precedono le elezioni presidenziali, mostrano un certo disinteresse per le crisi internazionali. Lo fanno perché ogni uscita può essere motivo di polemica interna. Ovviamente, in questo caso, non vogliono vedere la Nato spaccarsi. Persino Trump, protagonista di esternazioni non felicissime sull’Alleanza, ha capito che il pilastro transatlantico è fondamentale.
Come si esce da questa crisi?
Con il tempo e con la pazienza. Non ci sono altre vie. L’importante è che non succeda l’incidente stupido, una nuova Sarajevo per intenderci. Non tutti conoscono il retroscena dell’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando quel fatidico 28 giugno 1914. Fu assassinato perché l’autista si perse nella città e si fermò a chiedere informazioni proprio al bar dove l’attentatore Gavrilo Princip stava prendendo il sole, deluso per aver fallito l’attentato la mattina durante la parata. L’arciduca voleva vedere i feriti di quell’attacco e per questo si addentrò nei vicoli della città. L’incidente più idiota può provocare una catastrofe. Tutto il resto, con il tempo e la pazienza, si può aggiustare. Ma se parte la scintilla, scoppia l’incendio.