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Referendum, il centrodestra voti No. Gervasoni spiega perché

Di Marco Gervasoni

Votare Sì al referendum sul taglio dei parlamentari è coerente con la storia più antica e recente del centrodestra. Ma a nostro avviso, sarebbe meglio che l’opposizione votasse no.

La storia del centrodestra nella sua fondazione berlusconiana è intrecciata all’ondata populista internazionale degli anni Novanta del secolo scorso. E intendo qui populismo come contestazione della classe politica e convinzione che le energie del popolo, democraticamente inteso, possano governare la cosa pubblica. La fondazione del berlusconismo è in tal senso plebiscitario: il capo costituisce l’incarnazione del comando democratico in cui il parlamento deve perdere il ruolo centrale occupato nella Repubblica dei partiti consociativa. Come ha scritto il sociologo francese Pierre Musso in un libro uscito lo scorso anno (Le temps de l’Etat-Entreprise: Berlusconi, Trump, Macron) il Cavaliere anticipa così esperimenti politici successivi come appunto Trump e Macron. Per essenza presidenzialistico, il berlusconismo originario non è tuttavia antiparlamentarista; ma le Camere devono essere messe a disposizione della volontà degli elettori incarnatasi nella scelta del capo. Quindi il parlamento deve essere razionalizzato, snello e funzionante, non pletorico.

Passano gli anni, viene la crisi del 2007, poi la strana caduta (se proprio non vogliamo chiamarlo golpe) del governo Berlusconi nel 2011, la decomposizione del Pdl e di tutto il centrodestra, Su questa base nascono due nuove forze politiche: Fratelli d’Italia prima e la Lega salviniana poi. Esse intercettano la nuova stagione populista internazionale seguita alla crisi del 2007, che porta nel 2016 alla Brexit e in Usa poi all’elezione di Trump. Ancor più di quella degli anni Novanta, la nuova ondata è fondata sulla rivolta contro la classe politica: tutti i partiti dell’area sovranista e populista sono caratterizzati, nel loro programma, da una decisa contestazione della politica come professione e come attività separata dalla vita del “popolo”.

In questa chiave il Parlamento si fa il bersaglio polemico per eccellenza rivolto contro una classe politica chiusa al paese, autoreferenziale, dove destra e sinistra si sono confuse. Indebolire questa classe politica tagliando i parlamentari diventa una proposta quasi di senso comune. Essendo Lega salvianiana e Fratelli d’Italia due partiti che utilizzano il codice populista, è abbastanza ovvio che essi siano a favore di questa riforma.

Tutto questo va spiegato a chi, nel centrodestra, freddo nei confronti della scelta del Sì, ritiene sia un andare a rimorchio culturalmente dei 5 stelle. Mi spiace (a me non non tanto a dire il vero), ma siamo tutti figli del populismo berlusconiano, anche i 5 stelle, che poi hanno creato un Frankenstein populista berlingueriano. E nel codice iniziale del berlusconismo vi era la razionalizzazione del parlamento. Per essere stato padre politico di tutti noi, anche di quelli di sinistra, Berlusconi dovrebbe essere eletto presidente della Repubblica o perlomeno gli andrebbe eretto un monumento.

Se il taglio dei parlamentari è coerente con la storia del centrodestra vecchio e nuovo, riteniamo tuttavia sia meglio che esso si schieri per il No. Non solo e non tanto per mettere in difficoltà il governo o per nostalgia nei confronti del parlamentarismo, già morto da tempo e che non rinascerà se le cose rimarranno come stanno. Il centrodestra dovrebbe invece optare per il no perché è cambiata totalmente la fase storico politica. Per via della pandemia prima di tutto: con la nuova governamentalità dell’emergenza sanitocratica, e scusate il foucaultismo, la tentazione di chiudere la bocca alle opposizioni continuerà, mentre invece una rappresentanza parlamentare ampia garantirà contro gli straripamenti di esecutivi sempre privi di legittimazione popolare. Poi perché in questa nuova fase è necessario creare sul fronte sovranista una rigorosa classe dirigente, viste anche le esperienze di governo deludenti, in Italia, in Austria (altre non ve ne sono state). Ma una classe politica nuova e capace si può formare solo in un Parlamento davvero rappresentativo.

Infine, ultima motivazione. La democrazia parlamentare è irrimediabilmente e da tempo entrata in un vicolo cieco: per questo il No al taglio dei parlamentari dei vari cultori della “Costituzione più bella del mondo” ci suonano patetici. E chi nel centrodestra si schiera per il No, non deve confondersi in alcun modo con questi. La Costituzione italiana non è la più bella del mondo, anzi l’opposto. Bisognerà invece organizzare il consenso e le istituzioni attorno a un regime presidenziale, cioè a una nuova Costituzione, come da programma del centro destra. Vaste programme per dirla con qualcuno che un regime presidenziale lo ha creato davvero. Ma intanto un presidenzialismo non può esistere con un Parlamento indebolito e poco rappresentativo: ragion per cui, coloro che vogliono difendere davvero il senso del Parlamento, oggi, sono paradossalmente i presidenzialisti. Che quindi devono stare lontani anni luce dalla retorica anti casta dei 5 Stelle e dei loro portatori d’acqua piddini.


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