Mascherina obbligatoria all’aperto, dalle 18 alle 6 e chiusura di discoteche, sale da ballo e locali assimilati su tutto il territorio nazionale. Questo in buona sostanza il contenuto dell’art. 1, primo comma, lettere a) e b) dell’ordinanza ministeriale con cui il ministro della Salute Roberto Speranza ha stretto le maglie dell’estate italiana.
Una ordinanza emanata in forza della risalita dei contagi, notizia tra l’altro smentita dai dati diffusi nella giornata ieri, che ha visto il numero dei nuovi contagiati diminuire di circa centocinquanta unità rispetto al giorno precedente, senza morti (appena 4) e con pochissime persone ricoverate in terapia intensiva, 55 in tutta Italia. Le limitazioni della libertà personale in assenza di emergenza, quello stato di emergenza che Conte ha prorogato fino al 15 ottobre e che Speranza ha richiamato nella sua ordinanza. Non è vero dunque, come ha detto il presidente del Consiglio a fine luglio, che la proroga serviva per fare in fretta nella corsa alla riapertura delle scuole, serviva invece per richiudere da un giorno all’altro alcune attività economiche e obbligare sessanta milioni di italiani a rimettere le mascherine anche all’aperto, in pieno agosto e senza alcun riscontro scientifico.
Che si può fare? Gli strumenti sono quattro, due nelle mani dei cittadini e due in quelle della politica.
Primo. Le associazioni di categoria di discoteche e sale da ballo, ma pure di teatri e cinema visto che l’ordinanza parla anche di “locali assimilati”, potranno presentare ricorso al Tar delle Regioni di competenza e chiedere l’annullamento dell’ordinanza ministeriale, anche perché il danno economico provocato dall’esecutivo si aggira attorno ai 2-3 miliardi di euro, se non di più. Limitare le libertà economiche, e quindi il principio fondamentale del lavoro, con un semplice atto amministrativo quale è una ordinanza ministeriale – che in periodi normali servirebbe per stabilire la lunghezza delle siringhe -, è ragione sufficiente per ricorrere al tribunale amministrativo. Le decisioni che comprimono le libertà fondamentali – quella economica lo è perché strettamente connessa al lavoro – sono coperte da riserva di legge, talvolta assoluta e giurisdizionale, quindi è del tutto illegale che ciò avvenga con semplice ordinanza ministeriale, atto amministrativo di rango secondario nella scala gerarchica delle fonti del diritto. I motivi di ricorso possono essere diversi: eccesso di potere, sproporzionalità della decisione in assenza di una emergenza sanitaria concreta e attuale, lesione irragionevole dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi dei ricorrenti.
Ma v’è di più. Il secondo comma dell’art. 1 dell’ordinanza ministeriale prevede che “le Regioni possono introdurre ulteriori misure solo in termini più restrittivi rispetto a quelle di cui ai punti a) e b)”. I ricorsi al Tar dovranno chiedere l’annullamento dell’ordinanza ministeriale anche su questo punto, cioè nella parte in cui non è consentito alle Regioni di intervenire in senso migliorativo, visto che l’art. 117 della Costituzione, tra le materie concorrenti tra Stato e Regioni (dove lo Stato si limita all’emanazione delle sole linee di principio), prevede proprio la tutela della salute e la promozione e organizzazione di attività culturali, categoria in cui rientrano i “locali assimilati” alle discoteche.
Secondo. Il singolo cittadino che si rifiutasse di indossare la mascherina all’aperto dalle 18 alle 6, se contravvenzionato con la multa da parte degli agenti accertatori, potrà non pagare la sanzione e ricorrere al Giudice di Pace competente per chiedere l’annullamento della sanzione. Tra i motivi da addurre, la limitazione della libertà personale senza il rispetto della riserva di legge assoluta e giurisdizionale prevista dall’art. 13 della Costituzione, eccependo l’assenza dell’emergenza sanitaria concreta e attuale, prodromica all’emissione dell’ordinanza ministeriale. Il Giudice di Pace dovrà necessariamente entrare nel merito delle eccezioni e pronunciarsi per l’annullamento della sanzione. Non è possibile obbligare indistintamente sessanta milioni di cittadini, senza alcuna differenziazione territoriale fondata su dati scientifici, ad indossare uno strumento di protezione individuale che interessi metà del volto e due organi vitali come naso e bocca. Una invasione irragionevole nella sfera della libertà individuale di ciascuno. Dov’è il requisito dell’attualità dell’emergenza sanitaria che giustifichi le misure contenute nell’ordinanza? Rispetto a marzo sono più che raddoppiati i posti letto in terapia intensiva e, ad oggi, gli ospedalizzati sono meno di sessanta con un numero di morti che si contano sulle dita di una mano.
Terzo. Le Regioni. Già da oggi ciascuna singola Regione può impugnare l’ordinanza del ministro Speranza davanti al Tar, eccependo il mancato rispetto delle competenze regionali – di cui all’art. 117 della Costituzione – in materia di tutela della salute e di promozione e organizzazione di attività culturali, categoria in cui rientrano i “locali assimilati” alle sale da ballo. Il Tar non dovrebbe fare altro che applicare la Costituzione come sopra richiamato. Ma c’è un’altra strada. Le Regioni potrebbero emanare, anche adesso, ordinanze regionali meno restrittive rispetto a quella ministeriale, aspettando che il governo faccia ricorso al Tar. In tal modo i giorni passano (i tribunali sono in sospensione feriale fino al 31 agosto, quindi l’attività è ridotta) e nel frattempo vige l’ordinanza regionale in attesa della pronuncia del Tar, che in ogni caso dovrà applicare il dettato costituzionale in ordine alle materie concorrenti Stato-Regioni, tenuto conto dell’assenza di una emergenza attuale e della mancata differenziazione territoriale da parte del ministero della salute. A quel punto Conte potrebbe sostituirsi al potere delle Regioni ai sensi del secondo comma dell’art. 120 della Costituzione (per tutela dell’unità giuridica), ma non lo farà perché a breve ci sono le elezioni regionali.
Quarto. L’obbligo della mascherina all’aperto dalle 18 alle 6 è valido, per il momento, fino al 7 settembre, ma nulla vieta al ministro di prorogarlo fino al 15 settembre, giorno in cui ha termine la bassa stagione estiva. In piena campagna elettorale per le regionali e per il referendum confermativo sul taglio dei parlamentari (si vota il 20 e 21 settembre). L’obiettivo del governo è chiaro: impedire o rendere molto difficile a Matteo Salvini di fare comizi elettorali nelle piazze. In tal caso, se il centrodestra perdesse le elezioni regionali, potrebbe chiedere all’ufficio competente in materia elettorale della Corte di Cassazione di invalidare i risultati in quanto gravemente inficiati da uno degli elementi essenziali della competizione: aver impedito una normale e ordinaria campagna elettorale, in aperta lesione del principio democratico. Idem per il referendum confermativo, dove i parlamentari e i comitati schierati per il “No” potrebbero chiedere alla Suprema Corte di annullare l’esito del referendum (nel caso vincessero i Sì) per non aver potuto – su decisione del governo – spiegare nelle piazze le ragioni del “No” al taglio.
Insomma, chi volete che vada ai comizi elettorali con la mascherina? Ovviamente in pochi, e ciò costituisce una grave limitazione della democrazia ad esclusivo vantaggio di una sola parte politica: i giallorossi alle regionali e i sostenitori del Sì al referendum costituzionale.
La strada per reagire è stretta, difficile e tortuosa. Resta da constatare che i popoli si stanno cominciando a ribellare contro i governi. Non più solo a Berlino, ma ora persino a Madrid migliaia di persone scendono in piazza smascherati al grido di “libertà”. A quando anche a Roma?