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Spie iraniane a spasso per l’Italia? Cosa non torna secondo Pedde (Igs)

Il 22 luglio scorso il ministro degli Interni albanese Sander Lleshaj ha dichiarato Danial Kassrae, un ventinovenne iraniano che i media albanesi chiamano con insistenza come “italoiraniano”, persona non grata e firmato un ordine di espulsione con cui gli è stato interdetto l’ingresso nel Paese per i prossimi 15 anni. Portato nel campo profughi di Karec a Vora, è stato poi fatto salire il giorno dopo su un aereo della Blue Panorama con destinazione Roma.

Come raccontato da Formiche.net, Kassrae è accusato di spionaggio per conto del ministro dell’Intelligence iraniano (Mois) in Albania. Il suo obiettivo sarebbe stato acquisire informazioni sui Mujahedeen-e-Khalq (Mek), uno dei principali gruppi d’opposizione al regime di Teheran che ha la propria base nel campo Ashraf-3 a Manza, vicino Durazzo, dove vivono, in quasi totale isolamento, più di 4.000 mujahedeen. Secondo il Consiglio nazionale della resistenza iraniana Kassrae sarebbe stato “precedentemente impiegato come reporter dalla televisione statale iraniana Press TV a Roma” e sarebbe stato lo stesso Mois a inviarlo dall’Italia in Albania “contemporaneamente al trasferimento in Albania degli ultimi gruppi di membri del Mek dall’Iraq”.

IL RAPPORTO IRAN-MEK

Nicola Pedde, analista italiano esperto di Iran e direttore dell’Institute for Global Studies (Igs), è convinto, sulla base delle ricostruzioni giornalistiche, che Kassrae fosse lì per fare reclutamento. “Visto che ci sono state diverse defezioni da questo campo”, spiega a Formiche.net, “probabilmente era alla ricerca di qualche defezione eccellente per lanciare un’azione mediatica in linea con la narrativa iraniana sul Mek”. Una narrativa ricca di testimonianze riportate dai media di Teheran secondo cui, aggiunge l’esperto, gli ospiti del campo sono “tenuti contro la loro volontà”.

L’operazione che avrebbe condotto Kassrae “rientra nelle attività standard d’intelligence che conduce l’Iran, che considera il Mek una minaccia per la sicurezza nazionale”, continua Pedde. Che si dice “un po’ stupito”: “gli iraniani hanno un’immagine di questo gruppo un po’ esagerata. Era molto pericoloso negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta — basti pensare che furono loro a uccidere gli ultimi statunitensi in Iran prima della rivoluzione del 1979 — ma quando è passato al fianco di Saddam Hussein in Iraq ha perso credibilità”. Teheran, osserva l’analista, “continua a vedere il Mek come la longa manus degli americani, degli israeliani, eccetera”. Ma per Pedde l’Iran sopravvaluta il Mek: per questo, “che ne abbiano così tanto timore mi lascia perplesso”.

LA SCELTA DI ESPELLERLO

Nella storia di Kassrae, invece, c’è un elemento in particolare che non torna, a Pedde come a una fonte d’intelligence interpellata da Formiche.net. “Se sei una persona accusa di spionaggio non esci da un Paese come persona non grata, rispedito in un Paese terzo”, spiega l’esperto. “Se, come dicono gli albanesi dello Shish (i servizi segreti, ndr), il soggetto aveva un alto grado di pericolosità c’erano gli estremi per un arresto. E americani e israeliani sarebbero stati ben felici di mettere le mani su qualcuno del Mois. Che venga fatto uscire in questo modo è particolare”. Alla luce di ciò Pedde, che non esclude il legame del ventinovenne con il Mois, aggiunge: “Mi lascia pensare che la percezione che avevano di questo tizio è che non fosse così esageratamente pericoloso, che non avessero elementi particolari per incriminarlo per spionaggio ma che volessero comunque espellerlo”.

La tesi secondo cui la scelta di non arrestarlo sarebbe stata dettata dal timore di ritorsioni da parte di Teheran non convince l’analista. “Gli iraniani non hanno capacità di fare alcunché in Albania. Quei pochi presenti sono talmente sotto controllo da parte degli americani e della comunità internazionale. E l’Iran non ha intenzione di compiere attentati o atti su suolo albanese: provocherebbe un pandemonio in questo momento”.


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