Skip to main content

Tim, Open Fiber e la rete unica. Il risiko letto da Leonardo Bellodi

Fiumi di inchiostro e altrettante prese di posizioni di politici e commentatori hanno in queste settimane fomentato il dibattito tra Tim e Open Fiber, la società controllata da Enel e Cdp, alimentando quella che è ormai una commedia degli equivoci.

I temi sono due. Il primo è quello della realizzazione di una rete unica in fibra che vedrebbe le due società collaborare fino al punto di conferire ad un’unica società le rispettive reti. Si può forse leggere in questo senso la recente decisione di Tim di creare una società ad hoc scorporando la propria rete. E questa è sicuramente una buona idea.

Negli anni ’90, la dottrina antitrust, soprattutto americana, poi adottata in parte dalla Commissione europea, non mancava di sottolineare come solo attraverso la duplicazione delle infrastrutture (nei settori delle telecomunicazioni, energia, trasporti) si poteva garantire una reale concorrenza tra operatori che avrebbe portato un beneficio tangibile ai consumatori.

In entrambi i Paesi, questa filosofia è stata poi abbandonata dal momento che ci si è accorti che in realtà da un lato questa duplicazione era in molti casi impossibile e dall’altro, quando realizzata, non aveva portato i successi sperati creando un aumento dei costi, una diminuzione dell’efficienza e un rallentamento degli investimenti, tutte problematiche che alla fine ricadevano sui consumatori.

Non è un caso dunque che quasi tutti i Paesi europei abbiamo optato per la rete unica. E quando qualcuno, un governo, un parlamento, una realtà imprenditoriale, pensa ad adottare soluzioni molto diverse da quanto fanno altri, dovrebbe prima di tutto chiedersi con onestà intellettuale se non sia lui ad andare controsenso.

Insomma la rete unica consente, e ha consentito laddove è stata realizzata, sinergie derivanti dalla condivisione dei costi per la realizzazione e lo sviluppo della rete e una maggiore efficienza nel coprire tutte le aree nazionali. Non è un caso che la nuova direttiva europea che deve essere trasposta dal legislatore nazionale entro la fine dell’anno, prevede una serie di incentivi per gli operatori che coinvestono nella rete.

Ciò è ancora importante per l’Italia non solo perché a causa della orografia del nostro territorio ha delle aree poco accessibili ma soprattutto perché il nostro Paese costituisce un vero e proprio hub dal momento che è il punto di approdo di una serie di cavi che portano voce e dati dal Nord Africa e dal Medio Oriente. Una rete unica tra i due operatori consentirebbe all’ Italia di essere ancora di più centrale nel network internazionale delle telecomunicazioni.

L’ altro tema, non meno delicato, è quello del modello di separazione societaria da seguire. E qui le opinioni non potrebbero essere più divergenti. Tim è una società verticalmente integrata e cioè ha sia la proprietà e la gestione della rete sia, come noto, clienti finali che usano il telefono o trasmettono dati. Open Fiber è invece un Wholesale, cioè possiede e gestisce l’infrastruttura senza operare nel mercato a valle del retail.

Vi è chi sostiene che per garantire una reale neutralità della rete, Tim dovrebbe vendere la propria (a un’entità pubblica a questo punto) diventando dunque solo un operatore retail.

Vi è da dire che nel mondo dell’energia, le varie direttive di liberalizzazione del settore hanno imposto dapprima la separazione societaria (cioè due entità separate: una per il trasporto del gas o per il dispacciamento dell’energia elettrica e l’altra per la rispettiva vendita) e poi quella proprietaria.

Pur essendo stato a metà degli anni ’90 il settore delle telecomunicazioni la prima grande operazione di liberalizzazione portata avanti dalla Commissione (prima di tale periodo in quasi tutta l’Unione Europea gli operatori agivano in regime di monopolio legale), questa non ha mai preteso in questo settore né la separazione societaria né quella proprietaria ritenendo che strumenti di regolazione a monte e di controllo antitrust a valle fossero sufficienti per garantire un accesso equo e non discriminatorio alla rete.

Alcuni analisti sostengono che la separazione proprietaria della rete Tim diminuirebbe di molto il valore della società che dovrebbe a quel punto procedere a un ripensamento della propria  forza lavoro. Spesso quando prendiamo in mano il grande libro delle “liberalizzazioni” tendiamo a leggere solo il primo capitolo (quello sui vantaggi) dimenticandoci i successivi che parlano delle conseguenze.



×

Iscriviti alla newsletter