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Usa2020. Al via la convention repubblicana a tutto Trump. La cronaca di Gramaglia

A tutto Trump: la convention repubblicana è partita com’era stata annunciata, dominata dalla figura e dalla presenza del magnate presidente e ora ufficialmente candidato alla propria rielezione. E quando Trump non c’è, c’è qualcuno della sua famiglia o qualcuno del suo partito che la pensa esattamente come lui e ne canta l’elogio.

I repubblicani “non sono più un partito, ma una setta”, commentano analisti – anche conservatori – critici sui media Usa. Senza l’ex presidente George W. Bush, senza il candidato 2012 Mitt Romney – entrambi alla fronda -, la convention diventa un festival di famiglia, indice d’un partito ostaggio.

Nelle intenzioni di Trump, la vetrina deve proiettarlo verso la rimonta per vincere il 3 novembre, ma è pure l’occasione per insediare una nuova dinastia nel salotto buono della politica americana, accanto ai Kennedy, ai Bush, ai Clinton.

La promessa di una convention all’insegna dell’ottimismo sfocia in una convention che respinge tutte le accuse mosse dalla kermesse democratica la scorsa settimana all’America di Trump: uno dopo l’altro, gli interventi negano che vi sia un problema di razzismo nell’Unione, sottolineano che l’economia si sta riprendendo e che la finanza va a mille e magnificano come l’amministrazione sta affrontando l’epidemia di coronavirus.

Che, secondo i dati della Johns Hopkins University, aggiornati alla mezzanotte sulla East Coast, ha complessivamente fatto negli Usa quasi 5.740.000 contagi e oltre 177.250 decessi. Donald Trump dice: “Ci lasceremo la piaga che arriva dalla Cina dietro le spalle, avremo presto un vaccino e un’economia record nel 2021”.

L’inizio della convention vero e proprio era stato preceduto dal “roll call”, la chiamata dei delegati dei singoli Stati e Territori – un decimo circa del totale i presenti a Charlotte, in North Carolina -, che avevano formalmente designato Trump come candidato repubblicano a Usa 2020.

Un’ovazione aveva accolto l’ingresso del presidente nell’arena dello Charlotte Convention Center: non una folla oceanica, i 336 delegati presenti (ben pochi con la mascherina), ma neppure l’evento virtuale e asettico democratico. Il magnate non s’arrende all’idea d’una kermesse a porte chiuse, senza il tifo dei suoi sostenitori. E quando parte il coro “four more years”, lui rilancia: “Se li volete davvero fare arrabbiare, ‘twelve more years’”; e il coro riparte “twelve more years”. E il candidato arringa: “Nel 2016 ci hanno spiato, ora vogliono rubarci il voto. I democratici possono vincere solo truccando”.

Tutto bene per Trump, alla convention. Ma, fuori, si avvertono scricchiolii. Trump deve registrare la defezione dell’ultimo esponente del suo team di Usa 2016 rimastogli vicino: Kellyanne Conway lascerà la Casa Bianca a fine mese, vuole concentrarsi sui suoi quattro figli – Claudia, 15 anni, le rimprovera di averle “rovinato la vita” -.

Consigliere del presidente, dopo essere stata portavoce della campagna, è uno dei collaboratori che hanno resistito più a lungo accanto al magnate. Se ne va senza fare polemiche, ma qualche screzio l’aveva creato suo marito George T. Conway III, avvocato conservatore, critico del presidente. Pure lui fa un passo indietro: lascia il Lincoln Project, gruppo repubblicano che lavora perché Trump perda a novembre.

Fronte giudiziario, la magistratura dello Stato di New York ingiunge a un figlio del presidente, Eric, di presentarsi a testimoniare in un’indagine sull’assetto finanziario di quattro proprietà di famiglia: da tempo, i legali di Eric stanno ricorrendo a tattiche dilatorie per rinviare la deposizione. Questa è solo una delle inchieste in corso a New York che coinvolgono il magnate e gli affari di famiglia.

LA CRONACA DELLA PRIMA SERATA 

Nella prima serata della convention repubblicana va in scena l’America di Trump. Da Nikki Haley e Donald Trump jr, le stelle della serata, ai coniugi McCloskey, che a St.Louis, Missouri, puntarono le armi contro i manifestanti di Black Lives Matter, il ritornello è sempre lo stesso: Joe Biden e Kamala Harris sarebbero un disastro per il Paese che finirebbe in mano alla sinistra più radicale, economia a pezzi e violenze nelle strade.

“L’America non è razzista, questa è una bugia dei democratici”, dice l’ex rappresentante all’Onu, astro nascente del partito che molti vedono futura candidata alla Casa Bianca. Haley, origini Sikh, non ha dubbi: “Trump merita altri quattro anni perché mette sempre l’America First. Ha fatto quello che Barack Obama e Joe Biden si erano rifiutati sempre di fare con Corea, Iran, Israele, Cina e Isis. E l’amministrazione Biden-Harris sarebbe molto peggio di quella Obama-Biden”.

Più duro l’affondo del primogenito del magnate, che contende alla sorella Ivanka l’eredità politica, anche se lei sta alla Casa Bianca come consigliere e lui fa il “guastatore” sui social. “Bisogna combattere il razzismo, ma i poliziotti sono degli eroi”, afferma, poche ore dopo un ennesimo video shock in cui agenti in Wisconsin sparano una serie di colpi alla schiena di un afro-americano, riducendolo in fin di vita. L’episodio scatena proteste e violenze e induce le autorità al coprifuoco.

“Dobbiamo imparare dal passato, non cancellarlo”, afferma Donald jr, la durezza del cui intervento è comparabile solo a quello della sua fidanzata Kimberly Guilfoyle, un’ex giornalista di Fox News, secondo cui il ticket Biden-Harris è pericoloso per l’America.

“I democratici proteggono i criminali dai cittadini onesti e cercano di cambiare volto alle periferie – cioè i quartieri dei ricchi, ndr -, favorendo la costruzione di abitazioni popolari”, denunciano Mark e Patricia McCloskey, marito e moglie che davanti alla loro proprietà puntarono fucile e pistola contro i manifestanti che protestavano pacificamente per l’uccisione di George Floyd. “Non conta dove vivete, la vostra famiglia non sarà al sicuro in un’America governata dai democratici radicali”.

Il presidente ha fatto due apparizioni a sorpresa: una con i medici ed infermieri in prima linea contro il coronavirus e una con gli ostaggi americani liberati dalla sua amministrazione (ne conta sei). Poi su Twitter dà del “pazzo” a Biden.

Intanto, la campagna del presidente pubblica l’agenda del secondo mandato: dieci priorità declinate in 49 punti, dieci milioni di posti di lavoro in dieci mesi e un milione di nuove piccole imprese; vaccino anti-Covid entro la fine dell’anno e ritorno alla normalità nel 2021; guerra aperta alla Cina, responsabile della pandemia, con agevolazioni fiscali alle aziende che lasciano il gigante asiatico. E poi ancora dazi per chi penalizza l’America e il dogma Law&Order – sostegno alle forze di polizia, offensiva contro gli estremisti di sinistra e pugno duro contro l’immigrazione illegale -. I delegati applaudono e Trump promette: “Andremo su Marte!” – forse, ci siamo già -.

La seconda serata propone la first lady Melania, dal Giardino delle Rose della Casa Bianca. E ci saranno pure Eric, il terzo figlio dalla prima moglie Ivana, e Tiffany – la figlia nata dal matrimonio con la seconda moglie Marla -. Domani, sarà la volta della nuora Lara Trump, produttrice televisiva e moglie di Eric.

GpnewsUsa2020


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