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Tutte le grane di Trump sul voto per posta (il caso Bush insegna)

Di Lucio Martino

A novanta giorni dalle elezioni generali è opinione diffusa che il presidente Donald Trump sia nei guai al punto da voler rinviare le elezioni. Tuttavia, molto d’inaspettato è successo negli ultimi mesi e molto altro potrebbe ancora succedere prima dell’apertura delle urne. In ogni caso, anche in assenza di eventi che potrebbero favorire il presidente, la storia insegna che il distacco marcato in questi giorni dai sondaggi è destinato a ridursi man mano che si avvicina il giorno delle elezioni. Inoltre, è sempre più evidente l’intenzione di Trump di modificare la propria campagna elettorale, allontanandosi dalla grande attenzione finora dedicata all’economia, per riproporsi come l’unico candidato in grado di proteggere la legge e l’ordine, tanto che sembra assolutamente certo che continuerà a inviare agenti federali nelle città controllate dai democratici ogni qualvolta ne avrà l’occasione. Altrettanto certo è che poi Trump continuerà la sua implacabile campagna contro quel voto per posta nel quale intravede un elevato rischio di frode elettorale.

Resta da vedere se un simile duplice approccio migliorerà davvero le sue prospettive di rielezione. Nel frattempo, data la provata lealtà della sua base, è troppo presto per condannare Trump alla sconfitta, specialmente se si tiene conto delle particolarità di un meccanismo elettorale che quattro anni fa gli ha dato la vittoria con solo il 46,1 per cento dei voti. D’altra parte, non è affatto troppo presto per iniziare a pensare alle dinamiche di un’elezione dal risultato molto probabilmente incerto che si preannuncia come estremamente combattuta. Sotto questo punto di vista è possibile immaginarsi una situazione nella quale l’esito dell’intera competizione elettorale sarà deciso da un pugno di voti in un solo stato, come nel caso delle presidenziali del 2000, quando fu il voto di un paio di distretti elettorali in Florida a rivelarsi determinante. Quest’anno il voto per posta potrebbe finire con il complicare ancora di più le cose, come dimostrato dall’esito delle elezioni di medio termine di due anni fa in Colorado, quando la vittoria della senatrice repubblicana Martha McSally fu dopo alcuni giorni cancellata proprio dalla conta del voto arrivato per posta.

Nel caso in cui Trump si ritrovasse di poco in vantaggio al termine del conteggio del voto effettuato di persona, è possibile immaginare che il presidente potrebbe decidere di dichiararsi il vincitore, con il pieno sostegno del suo partito e di almeno parte della stampa, senza aspettare il risultato di un voto per posta che, per quanto espresso in grande anticipo, non può esser esaminato fino a dopo la data delle elezioni in quasi tutti gli stati dell’Unione. In una simile circostanza, è assolutamente certo che l’ex vicepresidente Joe Biden sceglierebbe di ignorare le richieste di Trump di riconoscere la sconfitta e ritirarsi prima del vaglio completo del voto per posta, aprendo così una crisi di non facile soluzione. Crisi la cui fase iniziale si caratterizzerebbe per una serie di azioni legali lanciate dagli avvocati del presidente soprattutto al fine di guadagnar tempo, rallentando lo spoglio del voto espresso per posta, in modo da non renderlo disponibile prima del pronunciamento dei relativi parlamenti statali con il quale sono ufficialmente nominati i grandi elettori previsti dal collegio elettorale, quest’anno fissato non oltre l’8 dicembre.

Questo scenario potrebbe complicarsi non poco se il governo dello stato in questione fosse diviso tra Repubblicani e Democratici, come per esempio avviene in Michigan, Pennsylvania e Wisconsin, dove la maggioranza parlamentare è repubblicana ma il governatore è un democratico. Nel procrastinarsi dello spoglio del voto per posta, e delle conseguenti battaglie legali, il parlamento di questo ipotetico stato potrebbe decidere di rispettare i tempi previsti e assegnare i relativi voti elettorali a Trump, per poi, in un secondo tempo, vedersi riversare tale decisione dal governatore, qualora alla fine di ogni conta fosse Biden a conquistare la maggioranza dei voti. Ovviamente una simile controversia non potrebbe non risalire l’intero sistema giuridico statunitense fino ad approdare a una Corte Suprema che, vent’anni fa, in circostanze non molto dissimili, aprì le porte della Casa Bianca a George W. Bush.

In tutta onestà, questo scenario è tanto interessante quanto poco probabile, ma è comunque molto più plausibile e legittimo dei tanti altri avanzati in questi ultimi giorni, secondo i quali Trump starebbe cercando di rimandare le elezioni, se non di annullarle del tutto, nell’incuranza del mandato costituzionale, dell’opinione pubblica e di qualsiasi altra cosa, non ultimo il suo posto nella storia.

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