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Vincitori e vinti dell’accordo Israele-Emirati. L’analisi di Wechsler (Atlantic Council)

William Wechsler, direttore del Rafik Hariri Center dell’Atlantic Council di Washington DC ed ex vice sottosegretario al Pentagono con delega alle operazioni speciali e alla lotta al terrorismo nell’amministrazione guidata da Barack Obama, ha analizzato gli storici accordi di Abramo tra Israele ed Emirati Arabi Uniti sotto la regia degli Stati Uniti. Wechsler riconosce l’onore delle armi Donald Trump: in un passaggio del suo intervento parla del “meritato giro d’onore nello Studio Ovale” del presidente.

Era più di un quarto di secolo che il Medio Oriente aspettava una buona notizia, da quando cioè, nel 1994, re Hussein di Giordania divenne il secondo leader arabo a riconoscere l’esistenza di Israele, a 15 anni di distanza dal primo, il presidente egiziano Anwar Sadat. Ora il protagonista è l’emiro Mohammed Bin Zayed. “È passato così tanto tempo da quando il Medio Oriente ha ricevuto per l’ultima volta notizie indubitabilmente buone che gli osservatori possono essere perdonati se hanno difficoltà a riconoscerle quando accadono”, scrive Wechsler. “Ma gli accordi di Abramo sono davvero uno di quei momenti”.

I NUOVI EQUILIBRI NEL GOLFO

“Una rara vittoria strategica per tutti, tranne che per l’Iran”, è il titolo della sua analisi. Israele ha avviato un percorso verso la normalizzazione con il terzo Paese arabo (per la prima volta con uno nel Golfo) e ha rinunciato all’annessione unilaterale di gran parte della Cisgiordania, “che sarebbe stato un errore strategico”, scrive l’analista sottolineando anche la vittoria politica del primo ministro Benjamin Netanyahu. Per gli Emirati Arabi Uniti il successo è triplice: si ergono a faro di tolleranza religiosa, a protettori degli interessi palestinese e a interlocutori privilegiati degli Stati Uniti (con un approccio diverso “da quello dell’Arabia Saudita, sempre più oggetto di disapprovazione da parte dei democratica”, nota).

“È una vittoria strategica per la sicurezza regionale poiché aumenta la pressione sull’Iran e sui suoi proxy” che negli ultimi quarant’anni hanno approfittato della “disunione strutturale” nella regione. È, invece, “un’opportunità strategica” per gli altri stati del Golfo — Arabia Saudita, Bahrain, Kuwait, Oman e persino Qatar — per seguire la scia emiratina e avviare processi di normalizzazione con Israele. Infine, è un’occasione per il popolo palestinese, per due ragioni: da una parte la possibilità del lobbying arabo su Israele grazie alle normalizzazioni; dall’altra quella, in futuro — quando “sarà concessa l’opportunità di selezionare una nuova generazione di leader” —, di usare gli accordi di Abramo come base di partenza per la soluzione dei due Stati.

L’EREDITÀ DELL’INTESA

Forse, azzardiamo noi, Trump volentieri strapperebbe via la pesante etichetta dell’”Accordo del secolo” al patto con Israele annunciato a inizio anno per applicarla sull’intesa. Quel che appare certo è che gli accordi di Abramo saranno un punto fondamentale della legacy trumpiana, che si riconfermi o no a novembre alla Casa Bianca.

In ottica elezioni presidenziali, Wechsler scrive: “Anche se potrebbe non essere immediatamente evidente, l’accordo è in realtà un’importante vittoria anche per Joe Biden”. Da una parte il candidato democratico (che già ha dichiarato che lascerebbe l’ambasciata statunitense a Gerusalemme) eviterebbe di iniziare il mandato con la minaccia delle annessioni israeliane. Dall’altra ridare slancio all’azione statunitense invertendo il trend avviato da Trump di un ritiro militare — anche nel Golfo — per non lasciare altro spazio alle attività navali di Cina, Iran e Russia.

E SE BIDEN…

A Formiche.net Wechsler spiega che “la maggior parte degli osservatori prevede che un’amministrazione Biden affronterebbe l’atteggiamento aggressivo iraniano, ma allo stesso tempo sarebbe più aperta alla diplomazia e alla deescalation di quanto lo sia stata l’amministrazione Trump”. A questo proposito, aggiunge, “una futura amministrazione Biden sarebbe più allineata con gli obiettivi strategici del Golfo, visto che anche loro non vogliono rischiare una guerra regionale”.

Wechsler sottolinea nella sua analisi la “diplomazia creativa e personale” in cui Biden “eccelle da tempo”. Gli abbiamo chiesto di spiegarci questo passaggio: “Trump ha incontrato per la prima volta la maggior parte dei leader stranieri soltanto dopo essere diventato presidente. Invece Biden conosce da anni, a volte decenni, molti leader stranieri grazie anche al suo passato da presidente della commissione Relazioni estere del Senato e da vicepresidente”. Ma anche, aggiunge l’esperto, grazie alle reti personali.


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