Nel mondo, la perfezione non esiste. Non esiste un mondo perfetto, così come non esiste un sistema perfetto o una legge perfetta. Molte cose hanno vantaggi, ma anche svantaggi contestuali. E allora, a seconda della propria visione, ogni cittadino parla di ciò che difende la posizione assunta. È inevitabile, alla fine della riflessione, giungere alla frase fatidica: taglio sì o taglio no?
E così, sul referendum esisterà solo la posizione che sarà scelta dai cittadini.
La mia impressione è che i cittadini voteranno per la riduzione del numero dei parlamentari, un numero giudicato alto già a partire dalla nascita delle rappresentanze regionali, istituite con la legge 16 maggio 1970, n. 281.
Con la nascita delle Regioni è aumentata la rappresentanza territoriale, quindi, con la riduzione del numero dei parlamentari non verranno a mancare referenti e riferimenti sui territori, né a livello locale, né a livello nazionale.
E se il tessuto istituzionale è già molto articolato, allora il numero dei parlamentari non è definitivo, è possibile modificarlo. La stessa Nilde Iotti portò avanti questo argomento per sostenere l’esigenza di una riduzione del numero dei parlamentari.
È da discutere anche l’argomento che riguarda la rappresentanza territoriale. Se era così importante, perché i “big” dei partiti vengono sistematicamente collocati nei collegi considerati “blindati”, in modo da avere un seggio sicuro alle Camere? Non era così importante la rappresentanza territoriale, all’epoca? Sono stati chiamati “paracadutati”. Non ce ne fossero stati, l’argomento della rappresentanza territoriale sarebbe oggi più serio.
Un motivo che ha portato la mia forza politica a sostenere una riduzione del numero dei parlamentari riguarda la qualità delle rappresentanze parlamentari. Ricordo ancora un titolo del Corriere della Sera che lessi al secondo anno di Università, recitava così: “Nel 2012 assente un deputato su cinque”. Un rappresentante su cinque assente? Chi stava rappresentando, assentandosi, quel “rappresentante”? Non me. Non noi.
Se si cerca l’elezione alle Camere, allora è giusto recarvisi per lavorare. Non mi piacciono le scuse, talvolta addotte per i grandi assenteisti di sempre (in testa a tutti, Salvini e Meloni), secondo le quali si tratta di capi partito, quindi hanno molto lavoro da svolgere per il partito fuori dalle aule parlamentari.
Allora perché farsi eleggere (o perché non dimettersi)? Se svolge una mansione per il partito, al di fuori delle Camere, allora si resti fuori dalle Camere e si viva di ciò che porta quella mansione.
Un Parlamento con meno parlamentari, forse, porterà a richiedere maggiore professionalità, presenza e impegno all’interno delle aule e delle commissioni, perché c’è molto lavoro da fare per i cittadini in quelle sedi.
Si sarebbe mai pensato ad una riduzione del numero dei parlamentari se le “classi dirigenti” si fossero ben comportate negli ultimi decenni? Se avessero fatto sentire l’indispensabilità anche di un solo parlamentare, qualcuno avrebbe mai chiesto un Referendum per ridurre il numero degli eletti? Se i parlamentari fossero sempre stati diligenti, trasparenti, onesti, degni, qualcuno avrebbe mai avuto riserve sul numero dei rappresentanti in Parlamento? La risposta è No, e probabilmente, il Movimento 5 Stelle non sarebbe nemmeno nato.
Così, gli argomenti contro la riduzione del taglio dei parlamentari si scontrano contro la nostra storia repubblicana. Oggi si usano argomenti che, fino a qualche anno fa, non avevano alcuna importanza quando era il momento di organizzare le elezioni. Insomma, qualcuno a questo punto ci ha condotti.
Il mondo non è perfetto, e le decisioni che ne conseguono rappresentano gli sviluppi di quell’imperfezione.
Tengo a precisare un aspetto importante: non vi è soppressione del Parlamento o di alcuna forma di controllo sul potere esecutivo. In quel caso, sarei ferocemente contro il quesito.