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Trump o Biden, l’accordo Usa-Ue sulla web tax sarà in salita. Parla da Empoli (I-Com)

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Kamala Harris, running mate del candidato democratico alla Casa Bianca Joe Biden, è nata a Oakland, in California, e prima di diventare senatrice era stata procuratrice distrettuale di San Francisco e poi procuratrice generale del Golden State. Come raccontava Valeria Robecco su Formiche.net, Harris — la cui scelta è il frutto dell’intesa Obama-Clinton ed è stata apprezzata anche nel mondo della destra moderata a stelle e strisce— è “considerata una scelta vincente sul campo della raccolta fondi: è molto amata dallo star system di Hollywood, e ha ottimi rapporti con i miliardari della Silicon Valley”.

Il suo legame con le Big Tech è stato sottolineato anche in un dettagliato articolo della testata specializzata TechCrunch.com. Harris non è certo sulle posizioni dure di un’altra senatrice, Elizabeth Warren. Nè tantomeno su quelle del senatore socialista Bernie Sanders. Basti pensare che nonostante gli scontri con Facebook sulla questione Cambridge Analytica è in ottimi rapporti con Sheryl Sandberg, direttore operativo del gruppo di Mark Zuckerberg.

Questa settimana il New York Times ha analizzato il rapporto tra Biden e le Big Tech: il candidato dem, notava il quotidiano della Grande Mela, è stato critico nei confronti della Silicon Valley — soprattutto verso Facebook per le fake news — “ma la sua campagna ha accolto silenziosamente nel suo staff e nei gruppi politici persone che hanno lavorato con o per i giganti della Silicon Valley” come Facebook, Google, Amazon e Apple. Un particolare, continua il New York Times, che sta “sollevando preoccupazioni tra i critici del settore sul fatto che le società stiano cercando di cooptare una potenziale amministrazione Biden”.

Il vento è cambiato. Non siamo più nell’era di Barack Obama in cui le Big Tech piacevano a tutti. Ora il lavoro dell’antitrust avviato con Donald Trump è destinato a resistere anche a un cambio alla Casa Bianca.

“Sulle politiche commerciali, così come su quelle ambientali, mi aspetto un atteggiamento più costruttivo verso l’Europa da parte di un’eventuale amministrazione Biden, anche in funzione anti-cinese”, spiega a Formiche.net Stefano da Empoli, presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com), think tank focalizzato su innovazione e digitale. “Quella della web tax, però, è una vicenda più complessa e scivolosa, visto che si incrocia anche con il rapporto ‘in casa’ tra l’amministrazione e le Big Tech”, precisa. “La mia impressione è che ci sarà sicuramente qualche tentativo di regolamentazione rispetto alla situazione attuale sul piano domestico, anche per tenere unite le varie anime del partito democratico, alcune delle quali sono ormai estremamente critiche nei confronti delle principali internet company”.

Biden ha già individuato almeno due fronti, continua da Empoli: la revisione della Sezione 230 del Communications Decency Act del 1996 che ha finora permesso alle società online ampia immunità da una responsabilità legale per i contenuti caricati dai loro utenti; una maggiore attenzione alla privacy, un elemento, spiega l’esperto, che va nella direzione già intrapresa dall’Unione europea con la Gdpr.

“A quel punto non credo che tra i primissimi punti di potenziale frizione che Biden vorrà aprire nei confronti delle piattaforme online possa esserci anche la tassazione digitale, un tema che non è percepito dall’elettore medio americano o addirittura potrebbe essere facilmente strumentalizzato dall’opposizione, tanto più in un periodo come l’attuale di crisi economica” continua da Empoli. Per questo, l’esperto si dice scettico della possibilità che Stati Uniti e Unione europea possano trovare in tempi rapidi un’intesa sul tema, nonostante il ticket Biden-Harris: “La differenza di vedute tra le due sponde dell’Atlantico è ancora piuttosto netta, come evidenziato dal lungo negoziato in ambito Ocse, e un semplice cambio di amministrazione potrebbe non bastare a risolvere la situazione”, osserva. “Infine, non possiamo escludere — e sarebbe d’altronde ragionevole — che in caso di segnali rapidi di riavvicinamento sui temi commerciali e ambientali non sia la stessa Unione europea a concedere più tempi sulla web tax a un’amministrazione americana appena insediatasi alla Casa Bianca”.

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